La provincializzazione riuscita e la scaramanzia ritrovata, ecco come De Laurentiis ha sposato il pensiero di Sarri

Il campo è l’unico giudice di una partita di calcio. Può essere circondato da una tifoseria di lusso, essere malmesso come il San Paolo mercoledì, inzuppato per la pioggia o completamente bianco per la neve. Poco importa: è lì che si decide il destino di 22 ragazzi a caccia di un pallone, di vittorie e della gloria. Il calcio, però, al contempo è anche strano: quello giocato non basta. Ci vuole programmazione, lungimiranza, strutture all’avanguardia ed una buona gestione societaria per competere ad alti livelli. Lo sa bene Aurelio De Laurentiis, capace, davanti a dei microfoni quando serve, di fare più rumore della sua squadra sul campo. La programmazione, per lui, è importantissima e l’ha ripetuto stamattina a Radio 24: “Nel lavoro è fondamentale. La mia abitudine nel mondo del cinema è far lavorare le persone che scelgo”.

E’ per questo che lo scorso giugno ha avuto l’intuizione giusta: Maurizio Sarri. La scelta migliore per ripartire dalle ceneri del biennio Benitez, dalle promesse mancate, i proclami e le parole vuote che avevano caratterizzato le stagioni del Rafa napoletano. Si era parlato di scudetto, di una mentalità europea, di un mercato faraonico. Dopo le briciole di un quinto posto e di una ferita profonda da eliminazione in semifinale di Europa League, si è avvertito nell’ambiente il bisogno di un life coach che sapesse far rispuntare il sorriso sulle labbra dei calciatori, di un architetto che disegnasse un progetto e al tempo stesso rimettesse in piedi la baracca dalle sue macerie, e di un medico che curasse la ferita europea ancora aperta. Tre cariche trovate in una sola persona. Oggi il presidente può avere un’idea per il futuro ancora migliore: blindare il suo tecnico, affinché possa imporre il suo progetto negli anni, senza pressioni. Programmare il futuro, in fondo, è di vitale importanza.

Nel giro di quattro mesi a Napoli è stata attuata una vera provincializzazione, diversa, però, da quella spirale vorticosa in cui pensavano di piombare i tifosi. Questo movimento ha riportato all’ombra del Vesuvio lo spirito di squadra, la voglia di combattere, di vincere, ha restituito ai calciatori il sorriso e soprattutto l’umiltà. Una squadra provinciale non pensa allo scudetto. Così come non ci pensa Sarri, che lo etichetta ancora come bestemmia. Mantenere i piedi per terra, il mantra che è stato appoggiato anche dal presidentissimo. Aurelio De Laurentiis ha abusato spesso della parola con la S, specialmente in quel di Dimaro. Oggi no, sa che potrebbe compiere un passo falso, ricadere in un vecchio tranello. Per lui il Napoli ha le capacità di “arrivare fino in fondo”, ma la parola magica è ancora off-limits.

Da oggi il termine provincializzazione avrà un significato diverso. Vorrà dire “rifondare con coraggio mantenendo i piedi per terra”, consapevoli delle proprie possibilità e dei propri limiti. E, soprattutto, lavorando al massimo per arrivare fino in fondo. Perché “chi viene dalla provincia non è il più debole”. Talvolta, in silenzio, rischia di diventare il più forte. Parola di De Laurentiis.

Vittorio Perrone
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