Per un pugno d’orgoglio

L’odio, l’attesa, le polemiche. Gli strascichi che puntualmente si trascina via per mesi. Juventus-Napoli non sarà mai una sfida qualsiasi. Noi sempre a rincorrere, ad affannarci per dimostrare di essere alla loro altezza, a tentare di punirli anche solo per una notte. Loro superbi e spocchiosi, con un ghigno ci attendono al varco sfregando le mani, desiderosi di confermare la propria supremazia. In quel di Torino gli strazi negli ultimi decenni sono innumerevoli, troppo spesso siamo finiti in ginocchio a versare lacrime. Ma le rare occasioni in cui abbiamo strappato il bottino, seppur misero, sono valse come succulente vendette. Un parziale riscatto che il napoletano custodisce nel cuore con orgoglio, fotografandone i lineamenti memorabili.

Spegnere la luce. Avanzare a tentoni. Nel buio pesto distinguere solo il bianco e il nero. E attaccare senza paura come se di fronte ci fosse uno Slinder di periferia. A premi, traguardi, applausi si pensa soltanto dopo. Se ripasso le emozioni recenti relative a questa partita, mi sovviene immediatamente quel 2-2 del 1998. Era marzo, il Napoli si avviava a concludere una delle sue annate più devastanti e colme di record negativi, con il baratro della B ad un passo. I bianconeri, dal canto loro, lottavano per quello scudetto con l’Inter, soffiandoglielo (è il caso di dirlo) nelle ultime giornate. Si aspettava la classica goleada dei testa-coda, tra l’altro un leit motiv di quel Napoli ormai a pezzi. Invece no. Era la Juve, e quel gruppo che tanti dispiaceri aveva regalato ai tifosi partenopei, per un giorno decise di lasciare tutto sè stesso sul campo. Finì con un pari in rimonta, con gol addirittura di Igor Protti e con un altro annullato ingiustamente (ma dai!). Lì forse ho capito quanto vale questa gara alle pendici del Vesuvio. Vale l’onore. Anche quando ne sono rimaste solo briciole.

Un altro 2-2 c’è stato anche nel 2011, in un match di fine anno senza grosse pretese. Mattatore Cristiano Lucarelli, un altro che ha dimostrato di conservare l’amore di questa città nel sangue. Tutto ciò avveniva solo un anno e mezzo dopo l’apoteosi. 3-2 ribaltando il risultato, la straordinaria doppietta del Capitano di oggi e quel Datolo che in molti ritengono sia nato solo per quella partita. Quella sera nacque il Napoli di Mazzarri, il Napoli delle imprese impossibili. E quei 90’ non saranno ricordati in nessuna bacheca o albo d’oro. Sono indelebili negli occhi e nei ricordi di chi li ha vissuti e potrà raccontarli tra 50 anni ai nipotini. Perchè in fondo il calcio è questo. Adrenalina e passione da tramandare ai posteri, anche senza aver sollevato trofei.

Da quella notte la Vecchia Signora casta e pudica è improvvisamente parsa violabile, circuibile. Insomma alla nostra portata. Una mera illusione che continua ad accecarci. Due anni dopo è stato inaugurato lo Juventus Stadium. Da quell’arena, purtroppo, l’azzurro è finora venuto fuori sempre affettato, deriso ed insultato. Tutte e tre le apparizioni facevano sempre presagire l’occasione giusta per sfatare il tabù. Invece sono 8 i gol subiti, nessuno messo a segno. Annichiliti dalla stessa rivalità, dalla grinta avversaria, dall’immaturità dei timori reverenziali. Mai veramente pronti a sfidare gli dei dell’Olimpo. Negli ultimi anni poi, complice il testa a testa ai vertici tra le due compagini, è venuta a galla tutta la melma del capoluogo piemontese, con interviste e scenografie cariche di razzismo e stupidità. Così come il Napoli non ha saputo fronteggiare le rasoiate di Pogba, il calcio italiano citato da Benitez non è stato mai in grado di rispedire al mittente quei sacchi di spazzatura. Soffriamo tanto, perdiamo due volte. Ma guai a rassegnarsi.

Domani saranno di nuovo al varco ad aspettarci. Quel varco sempre pronto ad accoglierli, anche se lanciano bombe carta. Noi ancora a rincorrere i nostri obiettivi, con il peggior bastone che potesse capitarci tra le ruote. Doha, però, ci ha insegnato come scavalcarlo e uscirne indenni. Vincenti. Dimostriamo che per ascoltare quella musichetta le nostre concorrenti dovranno passare sul nostro cadavere. Quello non possono spostarlo. La cena di questa stagione, parsa a tutti noi piuttosto disgustosa, non è ancora finita. Manca il dessert. Che gli vada di traverso!

Ivan De Vita

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