La Curva Sud ha perso l’ennesima occasione per rimanere in silenzio

Mettiamo da parte, per un attimo, il lato sportivo del match. Mettiamo da parte la rabbia, le urla dopo le occasioni sprecate, i passaggi lenti, gli errori a centrocampo e le immancabili pecche difensive che contraddistinguono gli azzurri. Tralasciamo anche i soliti cori beceri: la cantilena che inneggia al Vesuvio finisce ormai per scivolare via come la solita litania impunita che si ripete ad ogni trasferta.

Quello striscione, però, è davvero troppo. Come spesso, negli ultimi mesi, i romani e romanisti hanno perso l’occasione per rimanere in silenzio. Perché di fronte al dolore immenso si farebbe bene a restare zitti. Muti. Per rispetto, per carità, per decenza.

Le accuse alla mamma di Ciro sono vergognose, senza se e senza ma. È l’ennesima occasione sprecata, questa, e l’amaro in bocca aumenta sempre più. La Sud, come con lo striscione inneggiante a Gastone, si è ripetuta nella messa in mostra delle sue qualità e dei suoi sentimenti più puri: quelli razzisti.

Perché, dunque, condividere tutto questo? Dove sono i romani e romanisti per bene, quelli che tifano senza offendere, che esultano senza sfociare nel razzismo, che quello striscione lo avrebbero condannato a prescindere, che non lo avrebbero manco scritto, pensato, fatto entrare.

Al proposito: la domanda sorge ancora con più forza. Dov’è il controllo allo stadio, quello delle forze dell’ordine, quelli che ti fanno morire di sete pur di togliere il tappo dalla bottiglina d’acqua di tua figlia, quelli che ti rovistano ovunque manco fossi il peggiore dei criminali? Chi ha fatto entrare quello striscione? Chi ha permesso, ancora una volta, che si leggessero quelle amenità?

Non ci bastano più le penalizzazioni, le “indagini immediate da parte delle forze dell’ordine”, i “filmati al vaglio della Polizia”. Non ci basta più nulla. Oggi, forse, con la Champions per il Napoli se ne va anche l’occasione di rimettere le cose apposto tra le due tifoserie.

Raffaele Nappi

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