Per fortuna, non avevo gli occhiali…

Fino a quando una sveglia non suona di lunedì mattina, quando si deve tornare a lavoro dopo un piacevole e rilassante week end, tutto bene. Al massimo fai un po’ di ritardo, il capo ti guarda male, impapocchi i colleghi a cui devi dare il cambio  con qualche scusa, tipo il traffico in tangenziale che tanto quello c’è sempre, oppure ti presenti con i cornetti così ti perdonano senza neanche guardare l’orologio. Ma se la sveglia non ti suona di domenica mattina, quando il Napoli gioca alla mezza, orario da violazione dei diritti umani del tifoso azzurro, allora vai nel panico. E più hai fatto tardi, più bestemmi per l’orario improbabile a cui ti costringono ad andare allo stadio, più continui a fare tardi. Cerchi di scegliere la soluzione più comoda, più veloce e meno stressante: auto o metro? Provo a parcheggiare vicino o non rischio e al primo posto vuoto la lascio, anche sedevo fare la maratona di New York ‘ngopp’ via Terracina? Chiamo per farmi prendere il solito posto sugli spalti o evito una figuraccia da tifoso dell’ultima ora? La verità è che prima di decidere tutto questo in cinque minuti, ho fatto la mia bella colazione dei campioni, e chiaramente parlo di me e di chi me l’ha preparata e non degli azzurri che erano in campo contro l’Empoli, ho indossato la mia bella felpa del gruppo, preso l’auto e sperato che andasse tutto bene. Ecco. Dopo dieci minuti, l’ansia sale, ma non per il ritardo. Avevo dimenticato di mettere le lenti a contatto e di portare gli occhiali. Un amico mi rassicura che se prendo Higuain per Zapata, non mi devo preoccupare: in campo è proprio Zapata! E lo si capisce dai movimenti eleganti, dai controlli sicuri e dall’intelligenza tattica. Fortunatamente, riscatta una pessima prestazione con un goal provvidenziale.

Insomma, arrivo sugli spalti controllando che non avessi ancora il pantalone del pigiama, o il baffo del cappuccino o il dentifricio sparso per il viso. Saluto, mi siedo, il tempo di un paio di foto e siamo già alla lettura delle formazioni. Mertens è in campo, Higuain fuori senza sorprese, Henrique pure, Hamsik non pervenuto, ma giuro che l’ho sentito chiamare.

La partita comincia e io non vedo la palla, l’amica accanto non vede le linee laterali, per la tipa seduta dietro, gli azzurri vedono gli amici immaginari per giustificare i troppi passaggi fuori misura, Hamsik non vede mai il motivo per protestare un po’ con l’arbitro, come un capitano dovrebbe fare, Rafael non vede gli avversari. Gli avversari però vedono la porta. Due volte. Dopo il primo tempo, l’unica cosa degna di nota è la pirofila di carciofi arrostiti che si tira fuori in curva nell’intervallo. È pur sempre domenica. Il ragù l’abbiamo lasciato a casa per poter avere almeno un gustoso ritorno consolatorio. E direi che abbiamo fatto bene.

Inizialmente abbiamo provato a fare qualche battuta denigratoria, qualcosa sul catetere e la dentiera di Ciccio Tavano, ma quando stava per segnare, abbiamo capito che non era il caso. Abbiamo optato per il guardarci negli occhi, scuotere la testa e allargare le braccia. Ci siamo seduti sconfortati, ci siamo rialzati fiduciosi dopo il goal di Duvan, ci siamo abbracciati e sollevati dopo quello di De Guzman. Ma, in fondo, sapevamo che il pareggio non ci serviva a molto. Con l’Empoli in casa, poi, non serviva proprio a nulla. Ho odiato i fischi alla squadra tra il primo e il secondo tempo, ho odiato l’accenno di fischi ad Hamsik all’uscita, e ho odiato, mentre tornavo all’auto, il chiacchiericcio da tifoso che vuole fare l’allenatore e il presidente e il direttore sportivo e il preparatore atletico e il fisioterapista e il mammasantissimo.

Ho amato, invece, tornare a casa e realizzare che, nonostante tutto, c’era ancora il pranzo della domenica ad aspettarmi, facendomi rivalutare anche la partita alla mezza. Eh si! È un periodo che dobbiamo accontentarci delle piccole gioie, che le grandi evidentemente devono ancora arrivare. E chissà che non  sarà un regalo di Natale anticipato.

Sempre Forza Napoli!

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