Tanti auguri Diego. E basta con la storia dell’esempio da (non) seguire: famiglia e scuola siano i modelli

“C’era una stella che danzava; e sotto quella sono nato”: può andare bene questa bellissima frase del poeta statunitense Robert Frost per provare a definire la vita di Diego Armando Maradona, che oggi compie gli anni, 54, e al quale vanno gli auguri di tutti i tifosi del Napoli e non solo. Perchè Diego, al di là di ogni rivalità calcistica, è stato davvero il dio pagano del calcio che si è reincarnato in terra.

C’era una stella che danzava, ma chissà poi se era davvero una buona stella. Perchè provateci voi a nascere a Villa Fiorito, sobborgo oscuro di Buenos Aires, villa de emergencia paragonabile ad una favela brasiliana; il rischio è quello di non riuscire mai ad emergere da un sottobosco fatto di povertà, malavita e violenza. Ma quella stella ha regalato a Maradona un dono: il calcio. Senza se e senza ma. E il calcio si sa, è come una religione, oppio dei popoli che in essa riversano tante, a volte troppe, aspettative.

Così è stata la vita di Diego: da lui ci si aspettava qualcosa di più. Sempre. Sia su un campo verde, sia nella vita. Perchè si sa, quelli come lui devono fungere da esempio. Da modello. Ma dove sta scritto? Per quello che ha saputo disegnare in campo con il suo sinistro è stato il più grande: ha regalato gioie indescrivibili ai tifosi delle squadre in cui ha giocato. Tanto basti. Perchè ad un bambino che si approccia al calcio, interessa ciò che il suo idolo fa con un pallone tra i piedi. E chi è fuori, non può giudicare la sua vita. Ha commesso tanti errori, ha chiesto scusa e ha sempre rifiutato l’etichetta di esempio da seguire. Quello lo devono dare la famiglia, la scuola. Non certo Maradona.

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