L’indimenticabile Gaudino, primo esempio d’emigrante napoletano-tedesco

Tra il giubilo ed l’increscioso, tra il poco edificante e l’orgoglio di un dialetto mai prosciugato dall’arida e squadrata lingua “Deutsch“, ecco spuntare un casco di ricci ed una faccia che la trovi nei quartieri dell’hinterland partenopeo, magari in provincie quasi dimenticate dalle mappe geografiche ma pur sempre appartenenti al territorio nostrano, è questa, o crediamo sia stata questa, la reazione a prima vista di un ragazzone quale era images (1)Maurizio Gaudino ai tempi dello Stoccarda. No, non è mai stato azzurro, non ha mai vestito i colori della città di cui esprime  il dialetto che mischia con qualche “avverbio” germanico ma che mai riesce a smussare nonostante gli anni in terra tedesca siano tanti e tali da imporgli un necessario cambiamento, ma Gaudino è ancora figlio di un epoca austera fin a partire da quella cultura che avrebbe forse imposto una conoscenza perlomeno bilingue, ma che ha invece trascorsi meno autorevoli, maggiormente annidati nella cultura dell’emigrante “con la valigia di cartone”, senza tanta conoscenza della propria lingua madre, ma con tanto bisogno di guadagnarsi il pane altrove. Alla ribalta c’è arrivato per caso, per volontà di una casistica che nel lontano 1989 vide sfidarsi nell’ambita finale per l’allora Coppa Uefa gli azzurri di Maradona, mister Bianchi e compagnia cantante e lo Stoccarda del giovane Klinsmann e, appunto, del figlio di emigranti campani, entusiasti di vedere il figlio giocarsi un trofeo con la squadra che rappresenta la propria gente.

maurizio-gaudinoIl marchio di fabbrica di Gaudino venne contrassegnato al termine della gara d’andata al San Paolo, quando il calciatore rilascia un’intervista che è rimasta negli annali per via del modo alquanto grezzo, soprattutto facendo leva sulle conoscenze dialettali napoletane piuttosto che sfoggiare frasi in tedesco, anche se ammorbidite da un accento che riconducesse alle sue origini. Le sue parole furono inconfutabili: «Amm pers ma va bbuono ’o stesso. Il 2-1 ci abbasta. Il Napoli? Ha attaccato di brutto e malamente nel secondo tempo, c’hanno miso sotto…». Un napoletano strettissimo, per molti incomprensibile che scandalizzò la Germania del pallone. Un autorevole giornale tedesco il giorno dopo titolò a tutta pagina, in chiaro segno di disprezzo: Il Napoletedesco. Non solo, la rivista propose una raccolta di firme per non far convocare in Nazionale Gaudino, convocazione che avvenne solo quattro anni dopo con il ct Vogts in occasione dei Mondiali del ’94.

Maurizio nasce il 12 dicembre del 1966 a Brühl, ma è figlio di emigranti campani e le sue origini lo accompagneranno per tutta la vita. Inizia la sua carriera di trequartista nel 1981 al Waldhof Mannheim, col quale 33debutta da professionista segnando 9 reti e gioca fino al 1987, anno in cui si trasferisce allo Stoccarda nel quale toccherà l’apice della sua carriera. Con lo Stoccarda disputa una finale di Coppa Uefa nel 1989 (quella della celebre intervista) perdendo contro il Napoli di Maradona, ma si toglie anche delle belle soddisfazioni come lo Scudetto del 1992 accompagnato dalla Supercoppa di Germania. Nel 1993 si trasferisce all’Eintracht Francoforte dove resta fino al 1997, giocando anche in prestito per il Manchester City e America. Dopo Francoforte si fa girovago e gioca per Basilea, Bochum e Antalyaspor (Turchia), ma alla fine torna al suo primo amore il Waldhof Mannheim nel quale chiude la sua carriera con una presenza da allenatore-giocatore nel 2005. Con la nazionale tedesca gioca 5 gare e segna un gol, convocato per i mondiali di Usa’94 come riserva di Matthäus. Oggi il figlio diciassettenne Gianluca è ai margini della prima squadra del Bayern Monaco e assorbe i dettami tattici di mister Guardiola, un’altra bella soddisfazione in famiglia, anche se del padre non ha ereditato lo spiccato accento partenopeo, chissà se è un pregio o un difetto…

Una storia vecchia un quarto di secolo, all’epoca la Germania s’interrogò sulla reale necessità di accettare oriundi nella propria nazionale, pensare che oggi buona parte del blocco campione del mondo è diviso tra calciatori di origine africana, turca, algerina e chi più ne ha più ne metta, mettendo in risalto una necessità che un tempo sembrava utopia. Resta l’intervista cult di Gaudino, sulla quale qualcuno ci ha marciato per infangare ancora una volta i napoletani e l’intensa cultura storica e antropologica di un popolo riconosciuto come il simbolo dell’Italia del mondo, e per buona parte del secolo scorso simbolo degli emigranti negli altri stati. Per l’altra parte di Napoli, quella che sorride e ci scherza su, è sicuramente un modo pittoresco di riconoscersi e di prendersi un po’ in giro quando ci si imbatte in particolari personaggi che tutt’oggi dialogano e comunica solo ed esclusivamente grazie alle forme dialettali. Non c’è volgarità, ne altrettanto non c’è volontà di eccedere nello schernire la condizione umana, è soltanto il tentativo della nostra rubrica settimanale “qui fu Napoli” di riportare alla memoria un pezzo di storia che, nella tensione di una finale di coppa, ha fatto sorridere un po’ tutti, specie chi, di napoletano, si nutre.

Eccola, a grande richiesta, l’intervista che, ancora oggi, strappa sorrisi:

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