Napoli e Benitez alla ricerca della felicità

La quiete dopo la tempesta. Apparente, effimera. Ma lo spiraglio di luce c’è e va accolto in tutta la sua pienezza. La vittoria del Napoli al Mapei Stadium, la prima lasciando la propria rete inviolata, non dovrà essere uno specchietto per allodole e rivelarsi un viatico importante. Squadra bloccata ed oltremodo sofferente, atrofizzata dalla schiacciante paura di vincere, eppure finalmente compatta e votata al sacrificio.

Piccolo passo per tirarsi fuori da questo terreno paludoso. La piazza deve fare di tutto per apprezzare un’unità d’intenti pressochè ritrovata, il cuore da lottatore in un gruppo che pareva convertito alla danza classica. La serenità, innanzitutto. L’incontro con i palati troppo fini è rinviato a data da destinarsi.

Il Napoli rialza la testa. Ebbene sì, proprio la testa. Quella che è totalmente in ferie da quella fatidica notte di Bilbao. Benitez, subissato dalle critiche e alla disperata ricerca del suo sorriso perduto, tiene a precisare che nessuno ha mai perso il senno: “28 anni di carriera e mi trattano come uno piovuto dal cielo. Io so cosa c’è da fare. Voglio più rispetto”. La chiosa nel post-Sassuolo è figlia dei tanti sermoni che ha dovuto recepire nell’ultimo mese da addetti ai lavori e non. Con il massimo rispetto dovuto all’uomo ed al professionista, sta di fatto che qualche strafalcione lo si sta riscontrando anche nella sua gestione. Ma la trasferta emiliana, finalmente, ha evidenziato come Rafa sia in possesso della piantina con tutte le vie d’uscita. Basta trovare quella più sbrigativa e meno dispendiosa.

Innanzitutto la solidità. Un allenatore del suo calibro, con il suo background e, diciamolo, il suo stipendio, non può trascinare per mesi lacune evidenti senza metterci almeno una pezza. E’ vero, il supporto doveva giungere dal mercato che invece si è trasformato in un disastroso boomerang. Ma il materiale umano c’è e le sue idee di calcio, brillanti se godessero di fondamenta granitiche, vanno mitizzate in base agli interpreti a disposizione. Gli azzurri imbarcano acqua dalle fasce e il don Rafè continua ad insistere su due uomini discussi come Insigne e Britos, perchè in questa fase non effervescente dell’intero collettivo almeno garantiscono maggiore copertura. Il secondo, tra l’altro, funge da ulteriore “marcantonio” a cui potersi affidare (non proprio ad occhi chiusi) sulle palle inattive, altro annoso dilemma della troupe partenopea. Il rovescio della medaglia è un Magnifico sfiancato e poco lucido in fase offensiva. Ma siamo sicuri che la sua apatia attuale è da addebitare solo ai chilometri percorsi?

Il modulo è un totem, secondo Benitez. Ormai è chiaro. Almeno però ora ci si può scorgere un lavoro di assestamento sulle pedine dello scacchiere. L’esempio eclatante è senz’altro la coppia mediana. Gargano e David Lopez, per ragioni diametralmente opposte, hanno sopportato insulti e malumori dei tifosi ma non hanno mai fatto mancare il proprio impegno. Ora, complici l’eterna incompiutezza di Inler e l’inspiegabile involuzione di Jorginho, si candidano come tandem più idoneo in questo periodo di transizione. Qualità certamente non eccelsa ed è normale che l’improvviso triplo carpiato all’indietro rispetto ai proclami sia mal digerito dal tifoso napoletano. Però i due tappabuchi, rognosi e coriacei, sono una scialuppa di salvataggio che la retroguardia azzurra sicuramente non disdegna. E il tecnico, senza azzardare improbabili gerarchie, ne sta comunque prendendo coscienza. “Italianizzandosi”, nell’acume tattico e negli atteggiamenti, magari a sua insaputa.

Il Mota, lasciatemelo dire, potrebbe davvero rappresentare un simbolo. Simbolo di chi non nasce con un talento speciale, com’è invece capitato ad altri suoi compagni di squadra. Ciò nonostante, ha fatto del lavoro e dell’abnegazione la sua forza, dimostrando come si può essere leader in campo e nello spogliatoio senza vantare un titolo di capocannoniere, di assist-man o miglior portiere. In questo Napoli che deve imparare a soffrire, a battagliare col coltello fra i denti, a crederci fino all’ultimo respiro. Ostaggio della sua fuggente bellezza. Divertente ma dal retrogusto amaro. In questo Napoli che deve ancora imparare ad avere fame, Gargano ha già imbandito la tavola. L’appetito vien mangiando.

Ivan De Vita

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