Se questo è Tavecchio

Cambiamento è la parola dell’anno 2014.
Tirata fuori dalla politica e adottata dal mondo del calcio prima sommessamente dopo la tragedia che ha visto la morte di Ciro Esposito e poi con maggior decisione (perché dei morti ci si dimentica sempre in fretta) in seguito alla disfatta sudamericana della nazionale azzurra.
Le dimissioni di Prandelli sono state un atto doveroso, l’ammissione del fallimento nel portare avanti il proprio progetto tecnico, invece le dimissioni di Abete (da buon ex democristiano) sono frutto di una scelta d’opportunità di fronte all’impossibilità di portare avanti le riforme ripetutamente annunciate.

Il sistema calcio Italia e la federazione che lo governa si reggono su uno statuto che definire bizantino è forse troppo benevolo, un insieme di regole concepite con l’unica finalità di ingessare e bloccare qualunque ipotesi di mutamento dello status quo.
Chiunque sarà eletto come presidente della FIGC dovrà affrontare questo muro di gomma, è bene dirlo subito. Ma per quanto possa essere difficile e complicato questo incarico, non si può transigere sulla statura morale e sulle capacità di chi dovrà assumerlo, proprio perché assolvere un compito così gravoso richiede una persona che abbia idee e cultura adeguate al passo avanti che deve fare il calcio italiano.
Purtroppo sembra che il candidato ad aver raccolto già alla vigilia del voto i maggiori consensi sia Tavecchio, il presidente della Lega Nazionale Dilettanti, ex dirigente di banca ed ex sindaco, che apparentemente sembra aver come maggior qualità quella di riuscire a restare molto a lungo sulle poltrone che conquista.

Nella conferenza stampa tenuta ieri Tavecchio durante il suo lungo intervento ha parlato (e ci sarebbe pure da riflettere sulla sua capacità di esprimersi chiaramente) toccando molti e diversi argomenti d’attualità del mondo dello sport e in particolare del calcio. In una delle sue invettive contro l’invasione di stranieri nelle nostre squadre ha proferito con estrema nonchalance la seguente battuta: “L’Inghilterra rispetto a noi è un’altra cosa: individua dei soggetti che possono entrare in base alla loro professionalità. Da noi invece arriva ‘Opti Pobà’, che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio“.

Ora in un altro luogo, in un altro paese di fronte a quest’affermazione si sarebbe ringraziato il sig. Tavecchio e lo si sarebbe messo alla porta, perché la sua leggerezza nel pronunciare quelle parole dimostra come sia sottilmente radicato nel suo pensiero un certo ideale razzista. Un atteggiamento disgustoso e riprovevole che cozza violentemente con gli enormi problemi di discriminazione visti negli stadi italiani nell’ultima stagione. Volendo pur mantenere la questione sul piano puramente tecnico, le sue parole suonano per giunta sciocche se consideriamo come la Germania Campione del Mondo sia una squadra frutto proprio di un melting pot di popoli e culture diverse.

D’altronde siamo in Italia, non negli Stati Uniti dove due mesi fa l’NBA a causa di ripetute esternazioni razziste ha tolto a un proprietario la sua squadra, qui invece si pensa addirittura di affidare ad un soggetto simile il governo del  primo sport nazionale. Trovate voi le differenze.

Certamente sarebbe utile che gli stessi soggetti che sponsorizzavano Tavecchio fino a ieri, con la stessa forza gli chiedessero di fare un passo indietro. Le scuse tardive non sono sufficienti a cancellare le sue gravi parole, è necessario dare un taglio a soggetti che fanno il male dello sport e della società italiana.
Si chiede un cambiamento e da qualche parte si dovrà iniziare, perché allora non farlo proprio partendo da questa vicenda?

Andrea Iovene
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