La Spagna fa mea culpa: è una sconfitta, non un fallimento

Quando l’arbitro ha fischiato la fine della partita tra Spagna e Cile, una smorfia di soddisfazione è stata dipinta sulla faccia di un gran numero di tifosi sparsi per il mondo. In tanti hanno tirato un sospiro di sollievo per la fine del ciclo di una squadra, che rimarrà nella storia in ogni caso per il modo in cui ha dominato con elegante prepotenza il mondo calcistico per quasi sei anni.

Si è parlato di eccesso di riconoscenza (come capitato alla Francia del 2002 o all’Italia del 2010), di mancanza di ricambio generazionale, ma la verità è che la Spagna non aveva dato alcun segno di cedimento fino all’inizio del secondo tempo della gara contro l’Olanda, nessuno. Un percorso nelle qualificazioni praticamente immacolato, certamente qualche piccolo problema legato alle vicende di Casillas che ha giocato poco nel club ed al ritiro di fatto di Puyol, ma niente che giustificasse allarmismi o che spingesse ad un ricambio massiccio di uomini della rosa. E poi, una volta scesa in campo nel suo girone (per altro nient’affatto facile) la roja si è trovata di fronte squadre con centrocampi folti, imbottiti di mediani per fermare la solita rete di passaggi e imbolsire la manovra spagnola. Del Bosque, che ha moltissimi meriti ed è una persona intelligente, non ha però ritenuto di preparare un piano B, un cambio di schieramento magari passando ad un 4-4-2 classico per sfruttare le ali che pure non mancano in squadra e magari aggirare gli avversari dalle corsie esterne. Non l’ha fatto probabilmente perché i suoi stessi giocatori, con qualche eccezione come palesato giorni fa da Fabregas in conferenza stampa, volevano provare a rialzarsi rimanendo fedeli a se stessi, a quell’idea di gioco che li ha portati sulla vetta dell’Europa e del mondo. Purtroppo per loro, non ha funzionato.

A voler guardare alla stagione appena trascorsa forse qualche allarme poteva accendersi guardando come la squadra custode del dogma del tiki taka è crollata ripetutamente sia in casa che all’estero, e laddove a trionfare sono state due squadre (Atletico e Real) con imprinting di gioco completamente diverso, con manovra veloce e verticale. C’è dunque abbastanza materiale su cui riflettere e certamente Del Bosque, amesso che resti sulla panchina della roja, avrà numerosi spunti da cui far ripartire la Spagna, senza uno smantellamento totale ma inserendo certamente un congruo numero di quei ragazzi che hanno stravinto l’Europeo Under 21 la scorsa estate. Tra questi ultimi come non ricordare i centrocampisti Koke, Illaramendi, Thiago (infortunasi proprio alla vigilia del Mondiale) e Camacho, il portiere De Gea, i difensori Montoya, Carvajal, Nacho e Bartra, gli attaccanti Morata, Muniain, Rodrigo e Tello.

A guardare bene ce n’è per fare una squadra che arriverebbe comodamente in semifinale di Champions League, una ricchezza di scelte che oggi dall’Italia possiamo solo invidiare. La sconfitta di ieri è solo un punto da cui aprire una nuova storia per gli spagnoli, cambiando qualcosa negli uomini e qualcosa nel gioco, ma non manca alcun presupposto per essere certi di ritrovarli temibili protagonisti all’Europeo di Francia 2016.

Andrea Iovene
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