Profili azzurri: Luciano Chiarugi

Chiarugi4Ci sono stati tempi in cui i grandi nomi del calcio italiano s’affacciavano alla finestra napoletana solamente per genuflettersi davanti ad una carriera in fase calante, quando, oramai ultratrentenni s’affidavano alle sorti partenopee per cercare di lasciare segni in una terra complicata, magari grazie all’esperienza, o forse sulle ali d’un entusiasmo che da sempre vige nei vicoli della città, forse più verosimilmente costoro erano ingaggiati col semplice intento di infervorare la piazza e cercare di raggiungere quel tanto agognato scudetto che proprio Luciano Chiarugi, il personaggio protagonista della nostra rubrica “Profili Azzurri“, vinse, sorprendendo le grandi sorelle italiche, con un gagliarda e vispa Fiorentina, con il grande “Petisso” Pesaola in panca, con gente in campo come il brasiliano Amarildo, De Sisti, Superchi, calciatori non eccelsi ma costruttori di una leggenda ancora oggi ricordata come un evento quasi soprannaturale.

Tra i tanti soprannomi che vennero coniati per Chiarugi, due sono rimasti incancellabili perché si sposavano bene con le caratteristiche del buon Luciano, uno era “la freccia di Ponsacco” (paese dove ebbe i natali) essendo un’ala di ruolo, scattante come pochi e abile nella falcata lungo la linea dell’out, l’altro era Cavallo pazzo” proprio perché le sue lunghe corse terminavano con improvvisi e repentini colpi di genio, che avevano spesso a che fare con le azioni salienti Rocco_Chiarugidel match, altrettanto spesso finivano con l’essere i colpi decisivi ai fini delle segnature. Prima Fiorentina, con tricolore annesso, poi il grande salto con il Milan del “paronNereo Rocco, che ne affino qualità e posizione in campo, disciplinandolo e contribuendo ad una crescita che spinse Chiarugi ad essere decisivo anche in campo internazionale, di lui ci si ricorda infatti per aver realizzato la rete decisiva nella finale di Coppa delle Coppe di Salonicco contro il Leeds nel 1973.  Qualcuno gli rimprovera una certa propensione alla “caduta facile”, per un periodo si parlava addirittura di chiarugismo come attitudine a simulare un intervento pressoché duro, tramutandolo in “fallaccio” grazie a reazioni estreme, quasi ai limiti del drammatico. Proprio ricordando questo aneddoto torneranno sicuramente alla memoria dei meno giovani i duelli con lo juventino Luciano Spinosi, cane da guardia tremendo e spesso protagonista con Chiarugi di “mini-sketch” in cui battibecchi e colpetti d’astuzia la facevano da padrone.

A Napoli ci arriva alle soglie dei “trenta” dove, ricollegandoci al preambolo iniziale, fu necessario perché la dirigenza, e non solo, era convinta di aver finalmente trovato l’ala giusta in grado di mettere i cross al centro per la testa di Savoldi, con il quale riuscirà a segnare caterve di gol. Venne scambiato alla pari con un altro cavallo di fascia, quel Giorgio Braglia capellone e filo “English-style“, il quale aveva fatto il suo tempo e non aveva più margini per poter Chiarugi_Napoliriproporsi alla platea napoletana. Lo volle proprio quel Pesaola con cui vinse il tricolore a Firenze, per ripetersi a Napoli magari, o semplicemente per proporre una novità sulla corsia in grado di determinare un cambiamento importante. Il primo anno andò anche bene, 6 reti in 34 gara, i presupposti per la definitiva consacrazione c’erano tutti, l’anno successivo ci si aspettava il boom, ed invece, complice l’arrivo in panchina di Di Marzio ed uno scarso feeling con quest’ultimo, per Chiarugi la via della panchina era la strada più probabile per vedere il campo, in qualche gara soltanto da titolare, per il resto soltanto scampoli e pochi minuti, troppo brevi per essere “cavallo pazzo“.

Sarà stata anche colpa del fato, del cambiamento tecnico, di fattori extracalcistici di cui non conosciamo le radici, sta di fatto che da Chiarugi ci si aspettava ciò che non avverrà mai, l’aver cioè trovato l’uomo giusto in grado di dare alla formazione partenopea esperienza e carica agonistica dettata dalle sue sgroppate, fondamentale per aprire la porta ai successi, ed invece soltanto una Coppa Anglo-italiana rimarrà l’unica prova vincente su campo di un calciatore su cui in molti avevano puntato per stropicciarsi gli occhi e riuscire a vedere l’orizzonte dello scudetto. Avanti un altro, neanche il fulmine di Luciano è risultato in grado di folgorare quello antico e mai domo sogno chiamato tricolore.

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