L’editoriale di Ivan De Vita: “Le vertebre tricolori”

La spina dorsale è l’assoluto pilastro del corpo umano. La sua funzionalità garantisce l’inviolabilità della stazione eretta e l’equilibrio. Un centro di smistamento delle informazioni senza il quale sarebbe impossibile condurre una vita normale. Non solo sostegno, ma ance schermo di protezione da possibili urti e fondamento principale dell’apparato motorio.
La spina dorsale di una squadra di calcio è sicuramente l’allenatore. Un orecchio alle direttive societarie e gli occhi puntati su benessere e sviluppo del proprio team. Non esistono gruppi vincenti che prescindono dal proprio mister, mentre si sono succedute nella storia del pallone vere e proprie accozzaglie di talenti o semplicemente buoni calciatori divenute imbattibili grazie all’identità conferitagli con dedizione e scrupolo da chi siedeva in panchina. Plasmare una creatura a propria immagine e somiglianza, beneficiando di un carisma innato e delle conoscenze acquisite sul campo.
La fine di una stagione è come girare una clessidra. Tutti i coach sono posti dinanzi al classico bivio: continuare ad essere il perno di un progetto o decidere per un divorzio? Tante le varianti, che vanno dalla sfera tecnica a quella caratteriale. Così un uomo saggio e schivo come Francesco Guidolin ha abbandonato le redini dell’Udinese (sarà supervisore tecnico delle tre società dei Pozzo) perchè ha avvertito l’affievolirsi delle motivazioni e qualche malumore di troppo da parte di tifosi che l’hanno sempre amato. Sul versante ligure, invece, Sinisa Mihajlovic ha detto “sì” al prolungamento con la Samp, dopo aver trascinato i doriani ad una salvezza tranquilla dopo un pessimo inizio d’annata. Convinto dalle “conversazioni con gli uomini di mercato“, convinto insomma dal piano di crescita che gli è stato propinato.
Eccolo il nodo cruciale. Antonio Conte resta alla Juventus dopo la stagione dei record, malgrado negli ultimi mesi l’aria di un addio si era fatta sempre più pesante. Ormai dopo tre titoli consecutivi il pericolo di un appagamento in territorio nazionale è particolarmente vivo. I nuovi stimoli sarebbero iniettati solo dalla Champions, ma è determinante assumere una fisionomia maggiormente internazionale. Se i suoi dubbi si sono schiariti e non ha mollato la presa le promesse dall’alto devono essersi rivelate convincenti. E non parliamo di meri accordi economici.
A Napoli il percorso è ben delineato. Tutti pendiamo dalle labbra e dal lavoro di un autentico maestro come Rafa Benitez. Vero uomo ovunque, colonna vertebrale indiscussa. Ha saputo persuadere De Laurentiis nello stravolgimento degli investimenti e nella visione di una rosa di giocatori nel suo complesso. Ha inculcato alla squadra una fisionomia di gioco moderna e pian piano anche un maggiore equilibrio tattico. Ha protetto, spronato ed esaltato i suoi figliocci esattamente quando era il momento di farlo, con l’amore di un padre e il pugno fermo di un despota. E nonostante le malelingue lo avessero perennemente additato come inadatto al campionato italiano, ha preferito agli screzi da microfono la signorilità delle risposte dal terreno di gioco. E il suo contratto in scadenza nel 2015 necessita solo di una rinfrescatina.
Ora però non ci si può più fermare. Le altre accelerano e sarebbe deleterio cullarsi sulle proprie certezze. Un Napoli spregiudicato ma allo stesso tempo saggio e riflessivo, sempre più specchio del suo allenatore. Ma occorrono tre o quattro tasselli ad un puzzle ampiamente rodato se si vuole competere ed avere una certa “resistenza”. E Don Rafè lo sa benissimo, anche se finge di accontentarsi di qualsiasi acquisto con quel “si fa quel che si può“. Si faccia quel che si può, ma in sede di mercato. Flettersi senza mai spezzarsi. Solo così queste vertebre possono assumere un aspetto tricolore.
Ivan De Vita
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