La “Rafalution” continua senza sosta in attesa della totale consacrazione

Anche a Napoli, come a Liverpool, la chiamano «Rafalution», termine coniato dalla fusione di Rafa (nome di battesimo di Benitez) + revolution (rivoluzione). Nel senso che è tutto cambiato rispetto alla gestione-Mazzarri. Dagli uomini (ne sono rimasti davvero in pochi), alla filosofia di gioco; dai collaboratori, ai metodi di allenamento; dalla gestione dell’organico, alla maniera di rapportarsi con il mondo esterno (con i media e con i tifosi). Una virata in piena regola. Proprio come auspicava De Laurentiis: dare un colpo di spugna con il passato ed avviare una nuova era, quella con il tecnico spagnolo appunto. Ponendosi l’obiettivo di internazionalizzare il Napoli, restare in Champions e cercare di vincere qualcosa già al primo colpo. Impresa riuscita solo in parte dal momento che la squadra dovrà affrontare i preliminari per accedere alla Champions ed è rimasta in lizza solo per la Coppa Italia. In pochi mesi, passando da Mazzarri a Benitez, il cambiamento in casa-Napoli è stato radicale. A trecentossessanta gradi. Rimpiazzato persino il team manager.

L’organico. Dodici i calciatori nuovi, di cui sette soltanto nella sessione di luglio. Da Higuain, fino a Ghoulam ed al terzo portiere Doblas. Dodici elementi , costo oltre cento milioni di euro. Della vecchia guardia sono rimasti in pochi: Britos, Inler, Behrami, Dzemaili, Hamsik, Pandev, Maggio, Mesto, Zuniga. E di questi, sabato sera a Milano ne andranno in campo ancora meno. Anzi, proprio quelli della passata stagione hanno reso al di sotto delle aspettative, infortuni a parte. Benitez ha indicato uomini funzionali al suo progetto tecnico, partendo dalla spina dorsale della squadra: portiere (Reina), centrale di difesa (Albiol), punta più avanzata (Higuain), un esterno (Callejon). Tralasciato il centrocampo dove probabilmente il tecnico andrà ad incidere nella prossima campagna acquisti.

La filosofia. Dal tre-cinque-due del passato, al quattro-due-tre-uno attuale. Non solo, anche lo sviluppo della manovra attraverso la gestione del pallone e ripartenze più ragionate. Meno frenesia e meno lanci lunghi a cercare l’inserimento degli esterni, quindi. Mentalità più offensiva quella di Benitez con gli inevitabili rischi nella fase passiva, come dimostrano le reti incassate. Insomma, una filosofia di gioco affatto speculativa e decisamente più europea anche se in Italia fatica ad imporsi.

Concetto di gruppo. Abolito il termine di «titolarissimi». Con Benitez tutti hanno la possibilità di mettersi in mostra. L’impiego di Fernandez, l’esempio più emblematico. Vietati anche gli egocentrismi. Nel Napoli prevale il concetto di gruppo alla giocata del singolo. Non a caso, quando è venuto meno questo principio, il Napoli ha perso colpi e punti per strada.

Confronto continuo. Rispetto al predecessore, Benitez si confronta in continuazione con tutti: dai calciatori, ai giornalisti, ai tifosi. Pacatezza e garbo, le sue armi. Ma anche inflessibilità quando ce n’è bisogno. Il tecnico spagnolo ha preteso poi che i calciatori salutassero il pubblico alla fine di ogni gara, anche dopo le sconfitte. E poi ha voluto calarsi negli usi e costumi del napoletano per comprenderne meglio il modo di vivere e pensare. Lo si vede spesso in giro a visitare le bellezze artistiche della città e con De Laurentiis e lo staff tecnico ha stabilito un rapporto di reciproca stima e fiducia, mai imponendo il suo ruolo e la sua personalità.

FONTE Corriere dello Sport

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