Con l’offerta giusta anche una bandiera come Hamsik può partire

Nulla è per sempre: e però, nell’immaginario collettivo, ma pure in quella storia racchiusa in sei anni a cresta alta, il sospetto»d’essersi imbattuti nell’eccezione capace di stravolgere le regole s’era insinuato teneramente. Perché Hamsik era (è?) il Napoli, l’ultima bandiera da lasciare sventolare orgogliosamente in quell’universo un po’ errante, la testimonianza d’una fedeltà (reciproca) incrollabile, insensibile a qualsiasi tentazione per gli uni e per l’altro: ma quando, statisticamente, qualcosa è cambiato, il dubbio amletico s’è insinuato e i numeri, che non mentono (quasi mai) hanno costretto a meditare sull’intoccabilità d’un totem.

The untouchables. La colonna sonora d’una esistenza da principe azzurro è rappresentata dalla sinfonia d’un tenore che si manifesta con una sequenza indiscutibile di prodezze, da 298 presenze (tutto compreso) e da 76 gol (tra campionato e coppe), da fotogrammi imperituri che restano e che trascinano pure però in un velo di tristezza: perché l’Hamsik che demolisce il Milan (2007-2008) con coast to coast stellare illumina d’immenso almeno quanto il panorama che Marekiaro offre alla sua Napoli a Torino, trasformando il 2-0 della Juventus in un 2-3 che vale persino per la letteratura. Poi è arrivato Rafa e con lui (immediatamente) sei gol e poi una «crisetta» d’identità ch’è valsa quattro panchine in campionato – l’ultima con la Lazio – e che gli è costato il posto persino nei decisivi assalti allo Swansea ed al Porto. Tutto passa, pure l’età dell’intoccabile, quell’aura che si scorge (o almeno sembra) nella levità d’un antipersonaggio per eccellenza, ch’è il prediletto di De Laurentiis («un ragazzo perbene, educato, un esempio») e diviene il riferimento tattico di chiunque s’accomodi su quella panca.

Escluso. Algodistrofia, comincia tutto il 27 novembre, in sette minuti fatali con il Parma, quelli che bastano per spalancare un tunnel nel quale Hamsik entra d’infilata ed esce dopo una cinquantina di giorni che consegnano però ruggine sul talento e minano le sicurezze: e poi, diamine, le ombre di un modulo al quale pare essere allergico, nonostante l’avvio, e che però favorisce l’evaporazione di quell’eterea bellezza. «Non sono me stesso e non so cosa mi succeda». Il balsamo è un gol o anche uno spaccato di quell’Hamsik che ha incantato, che ha esaltato, che ora rappresenta il tormento per se stesso ma non certo per quello stadio che l’ha idolatrato, l’attende in silenzio, senza mai uno sbuffo d’insofferenza: ma dal Catania in poi sono trascorse, appena, trentadue partite ufficiali, otto le ha saltate per quell’accidente e tre gli sono state negate dalle gerarchie attuali, dall’esigenza di spingersi al di là delle umane sofferenze per ritrovare equilibri offensivi un po’ sprecati.

Oh yes. Il ritorno tra gli umani è linfa per un mercato che vive di materia grigia, di intuizioni esplosive, di marchi di fabbrica che appartengono ad un genietto che vale intorno ai quaranta milioni, ch’è stato incedibile nei fatti, scegliendo Napoli e tenendosi fuori dalle tentazioni altrui con rinnovi automatici (pure in bianco) e che arrivano fino al 2018: Allegri ne era infatutato, l’elesse a «Mister X» per il Milan; Mourinho lanciò messaggi subliminali – «in Italia comprerei un solo calciatore» – che avevano un destinatario ben identificato; il Manchester United l’ha catalogato tra i «preferiti» ed il Chelsea l’ha sottolineato in blues sui propri taccuini. E in panchina è scesa la malinconia, domenica…

Fonte: Corriere dello Sport

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