L’editoriale di Ivan De Vita: “Higuain, galactico de noantri”

Era la fine di luglio dell’anno scorso. Una giornata torrida. Appena la notte prima ero rotolato per le scale. Ginocchio dolorante, forfait al lavoro. Un segnale. Perchè non era un giorno qualsiasi. Siti, tv e radio di casa mia collegate all’unisono. L’attesa e l’incredulità cresceva. Gonzalo Higuain stava approdando a Capodichino. Gonzalo Higuain! Un galactico a Napoli, nel mio Napoli. Improvvisamente, da un giorno all’altro, un cambio di prospettiva. Non era il calcio italiano a svendere i propri talenti al miglior acquirente. Erano i campioni a scegliere il nostro campionato. A peso d’oro, chiaramente. Ma la rivoluzione dell’era Benitez era solo all’inizio.

Il fascino di avere un fuoriclasse simile nella mia città era da pelle d’oca. Avrei voluto ovattarlo, imbalsamarlo e rinchiuderlo in una campana di vetro. Non avrei goduto abbastanza, però. Eppure l’aura che un tale nome trascinava con sè iniziava a dissuadersi quello stesso giorno all’aeroporto. Assalito dall’accoglienza a dir poco calorosa dei tifosi azzurri, il Pipita attonito sembrava un bimbo sguinzagliato in un Walt Disney store. Proveniente da altro pianeta. E non quello delle star dipinti di lacca, spocchia e narcisismo. Timido e spaesato. Felice in quegli occhi che brillavano e imbarazzato da quell’accoglienza evidentemente spropositata per chi ancora non aveva fatto nulla che potesse giustificarla.

Il “galactico de noantri”, immerso nella poliedrica realtà napoletana, ne ha immediatamente conosciuto croce e delizia. L’amore asfissiante del popolo e la lingua tagliente di un intero ambiente. Certo, era arrivato per una cifra vicina ai 38 milioni, astronomica per la nostra economia. Non doveva far rimpiangere Edinson Cavani, un uomo da 104 gol in tre stagioni. Insomma tutti gli occhi puntati addosso. E lo scivolone era dietro l’angolo. Quello in barca a Capri, ad agosto, non fu certo banale. Ferita al mento e prime pugnalate alle spalle, infiltrazioni gratuite nella sua vita privata.

Ragazzo intelligente e professionista serio non si è mai scomposto. Ha deciso di caricarsi sulle spalle tutte le responsabilità del suo ruolo, detrattori compresi. A liberarsi del macigno ci ha pensato il campo, la sua arma più affilata. Gol di pregevole fattura, colpi di alta classe, prodigarsi per il bene della squadra. Non solo doti da condottiero, ma anche l’umanità che traspariva dai suoi sguardi. Le lacrime devastanti e sincere dopo l’eliminazione con l’Arsenal lo hanno catapultato nel cuore dei tifosi, follemente invaghiti di chi suda per quella maglia al di là del risultato finale. E lui ha sempre replicato con impegno e dedizione. In fondo, ad ogni sua intervista dopo una vittoria le sue prime parole sono sempre state, più o meno: “La verità? Vinciamo per questa gente. Sono felice per loro“.

24 reti tra Campionato e Coppe, 14 assist. Statistiche alla mano, il miglior cannoniere della serie A. Troppe le critiche nei suoi confronti. In ogni momento buio della stagione azzurra è stato tra i primi a balzare sul banco degli imputati, solo perchè doveva risarcire quello stupido dualismo con Cavani. E’ bastato un po’ di sovrappeso, un broncio dopo una sostituzione, un mese senza gol o una serata con gli amici. Leggende sparate a raffica, senza un minimo di dignità e rispetto. Quello che lui dimostra per i nostri colori ogni sacrosanta domenica. Basta con queste cotte passeggere. Impariamo ad innamorarci di chi ci ama, non di chi getta solo fumo negli occhi. Tre gol contro la Lazio per scacciare gli ennesimi fantasmi. Quel pallone sotto al braccio, su ogni striscia un pezzo dei nostri cuori. Il Pipita è uno di noi!

Ivan De Vita

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