Monzeglio l’irascibile, zitto sennò son guai

Si parla d’epoche lontane, si rispolvera l’album datato 1949, era post guerra mondiale, quando la fame e l’onta anomala delle peripezie del dopo conflitto compromettevano il buon esito di qualsiasi cosa fosse in ballo, anche un campionato di calcio. Fu così che gli sventurati azzurri partenopei ebbero in dote un nuovo allenatore, niente di meno che il campione del mondo 1934 Eraldo Monzeglio, fresco di vincenti esperienze con Como e Pro Sesto nel campionato di B, la chiamata napoletana non era altro che il giusto premio di un’annata da primato. Era un uomo pratico e deciso, monzdal carattere autoritario e intransigente, si dice fosse avvezzo ai metodi mussoliniani, essendo tra l’altro amico e trainer personale dei figli del leader fascista negli anni precedenti alla sua venuta all’ombra del Vesuvio. Questo atteggiamento da uomo tutto d’un pezzo si faceva sentire molto nel rapporto con dirigenti, calciatori e persino presidenti delle squadre in cui militò, suscitando non poche volte malumori e reazioni insostenibili, che hanno talvolta spinto le società ad intervenire in maniera tale da spegnere gli animi e tornare a concentrarsi sul bene del gruppo. Queste situazioni vennero a galla particolarmente durante la permanenza napoletana, dove trovò attrito dapprima con Vinicio, poi con Jeppson, rei di non seguire alla lettera le direttive indicategli, spesso troppo impegnati a fare le prime donne dimenticandosi dei compiti tattici comminatigli.

L’effervescente tecnico litigò in pratica con tutti, arrivando addirittura ad esclamare in un attimo di rabbia la convinzione che “qui a Napoli non avrete mai nulla di buono” riferendosi alle velleità di portare gli azzurri a vincere qualcosa di importante, e per fortuna che qualche decennio più avanti qualcuno ha sfatato una quasi maledizione del tecnico nato a Casale. Rimane negli archivi storici del club la scenata negli spogliatoio alla fine di un match, dove Monzeglio fece una lavata di testa a Comaschi, terzino azzurro, che di tutta risposta non gliele mandò di certo a dire e inveì con il suo “savoir faire“. Quasi come fosse un bullo di strada, Monzeglio raccolse uno zoccolo da tergo per minacciare il calciatore di limitarsi ad ascoltare ciò che stava dicendo se non voleva subire un colpo figlio della sua ira. Comaschi decise di starsene buono e sorbirsi la ramanzina.

MonzeglioLauro 1Nessuno fu risparmiato dal vulcanico mister, nemmeno il comandante Achille Lauro presidente negli anni in cui era presente in panchina, che in alcuni episodi fu letteralmente travolto dalla intransigenza di un uomo nato per lo spogliatoio ma troppe volte vittima di se stesso e della sua idiosincrasia verso la gestione emotiva. Prima di un match degli azzurri, negli spogliatoi del Vomero si narra che Monzeglio, nel mentre fosse impegnato ad impartire i tatticismi quotidiani, venne interrotto dalle grida e del baccano esterno, che divenne bisbiglio comunque fastidioso una volta che Lauro aprì la porta per introdurvi celebrità dell’epoca, per di più intenti a fumare tabacco dalle loro sigarette di fortuna, venute a conoscere le facce ravvicinate dei campioncini azzurri, dove usavano cambiarsi e dove erano soliti ad assorbire le nozioni dell’allenatore. Monzeglio si sentì tirato in causa e, contrariato e inviperito esclamò:   “ Comandante e lor Signori, per cortesia qui non si fuma, vadano fuori a fumare e discutere perché qui abbiamo da fare! e con fare regale ma autoritario mise alla porta uno ad uno tutti gli spettatori occasionali, che non disdegnarono uno sguardo offeso e imbarazzato, compreso quello di Lauro che passò da cicerone abile manovratore e faccendiere a incapace ed insensibile personaggio della dirigenza, quasi come fosse l’ultimo degli inservienti.

1951, Sampdoria 2 - Napoli 1, Monzeglio con Casari portiere del Napoli.Fatto anch’esso emblematico fu quando il mister e la squadra furono invitati al cospetto del presidente per un saluto di routine, accompagnato da qualche battuta di alcuni giornalisti della carta stampata presenti, gli stessi che Monzeglio etichettava “dottorini” quando qualche giovane leva tra essi si improvvisava in critiche distruttive senza fine alcuno. La presenza non gradita di alcuni di essi fece esclamare a mister Eraldo una frase rimasta negli annali della franchezza: “ Non sentite niente ragazzi? Andiamo, andiamo via ! Qui c’è puzza di carogne!… mettendosi l’indice al naso quasi come sentisse davvero le maleodoranti presenze in sala. Un’altra volta, dopo il primo tempo di Napoli- Juventus sul neutro di Bari, nel 1955, a conclusione di  un primo tempo in cui il Napoli perdeva per 1-0, il presidente si precipitò negli spogliatoi, scagliandosi furibondo contro tutti, accusando i giocatori di essere “traditori, ladri e fannulloni”. Come si è potuto comprendere, anche questo modo di fare non era in linea con la pazienza molto fragile dell’allenatore azzurro che non se la fece scappare, riferendo al presidente: “Per adesso, Comandante, si accomodi fuori e  la smetta di questi apprezzamenti. Qui dentro comando io, sono io che dò gli ordini e muovo rimproveri, sono io l’allenatore ed il responsabile fino al termine della partita. Quando l’incontro sarà terminato, lei sarà padrone di fare tutto quello che vuole, a testa sua, ed anche di mandarmi via!.Un Vinicio a mezzo servizio pareggerà l’incontro, mettendo il sigillo sul’1-1.

Quell’ennesimo sfogo mise la scadenza alla permanenza in azzurro del tecnico, troppo incline ai pragmatismi esasperati e poco avvezzo alla comprensione, dopo sei gare e lo stop interno da cui ne trasse beneficio l’Inter , a seguito dell’ennesimo ed ultimo battibecco animato con Lauro, fu invitato a prendersi “un poco di riposo”. Le sette stagioni consecutive (allenò con gli azzurri fino al ’55-56) gli furono utili a detenere il record di allenatore più longevo sulla panchina azzurro, grazie alla quale fu premiato con una medaglia d’oro al valore, quasi come fosse un soldato da decorare, un milite che si è guadagnato la gloria salvando un compagno in battaglia, ma avendolo inquadrato in queste brevi ma intense favole metropolitane, siamo inclini a riconoscere la sensazione che Monzeglio avesse preferito restare in azzurro con onori e meriti, oltreché una incondizionata fiducia nelle proprie capacità, cosa che venne meno sul finire dell’idillo con Lauro. Ritornerà otto anni dopo per affiancare Pesaola come direttore tecnico, ma i cavalli di ritorno non hanno mai avuto buona sorte, salvo qualche sporadica eccezione. Monzeglio rimarrà il “sergente di ferro”, l’intransigente, l’irascibile, l’uomo attraverso cui una mancanza, soprattutto sotto l’aspetto umano,veniva pagata a caro prezzo. Uomo di un’altra epoca, come spesso ci piace raccontare nella nostra rubrica “Qui fu Napoli“, d’altronde…

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