La punizione del pareggio

Signore e signori, ecco a voi il Monday Night!

Ovvero, come cominciare malissimo una settimana.

Arrivi allo stadio che tutti, o quasi, sono già lì. Arrivi ai cancelli con uno spiegamento di forze dell’ordine che si fa beffa del gemellaggio e controlla qualsiasi cosa si muova e abbia uno zaino o un giubbino o un cappuccio. Compresa me, il mio zaino, il mio giubbino e il mio cappuccio. Anzi i miei cappucci. Due, per la precisione. Entri nel tornello mentre un tizio ti scruta guardingo, come a pensare: “Che faccio? Mi metto dietro, a sorpresa, ed entro con lei nel tornello, visto che da solo non posso perché ho il biglietto di un altro settore? O non ce l’ho proprio?”. Poi, deve aver letto il mio pensiero, che più o meno diceva: “Tu, che hai il biglietto di un altro settore o che non ce l’hai proprio, non ti azzardare neanche a pensare di poter entrare infilandoti dietro di me nel tornello che ti faccio vedere il contrario di un gemellaggio!”. Vi giuro che non gli avrei fatto niente, ma lui si è fidato del suo istinto e sarà passato con qualcun altro.

Poi entri, sali sugli spalti, prendi posto, saluti tutti, ti fai due risate, due chiacchiere, prendi in giro l’amico che non è neanche arrivato e già ha le mani piene di noccioline, gli dai un aiuto per tenerle insieme, perché altrimenti non riesce a sbucciarle e a mangiarle, poi ti giri e vedi che due minuti dopo sta mangiando anche un pagnottiello; dai il benvenuto a due argentini e, poi, glielo togli quando scopri che sono tifosi del River Plate; dai il bentornato a chi, appena rientrato da Swansea, ha preso un treno da Verona, città in cui vive,  ed è venuto al San Paolo. Onore e tanta stima. Ci tiene, però, a dire che giovedì osserverà il suo turn over. Tre trasferte in una settimana non le regge. E, credo, neanche quella santa di sua moglie.

Poi entra la squadra per il riscaldamento e vedi di nuovo quella maglia gialla. Ricordi che, è vero, Benitez ha detto che è un fatto scaramantico, ma a noi i nostri colori ci mancano assai e dopo stasera tutti abbiamo pensato la stessa cosa: “Almeno torna la nostra maglia azzurra!”. Guardi i titolari e ti accorgi che, a differenza di quello che si era detto nel pre-partita, non c’è Pandev, ma Hamisk. Più o meno. A sprazzi e a mozzichi. Fuori Maggio, con Yeyeyè a sostituirlo. Più o meno. A sprazzi e a mozzichi.

Una volta che comincia il primo tempo, ti rendi conto che siamo più forti, giochiamo bene, Mertens deve stare in campo sempre, Higuain deve stare in campo sempre, Callejon deve stare in campo sempre. Hamsik fa un assist per il goal che fa venire in mente i vecchi tempi, per il resto li fa dimenticare spesso con passaggi sbagliati e lentezza di pensiero. Reina fa il portiere, ma con lo stesso impegno del portiere del palazzo, Yeyeyè fa il compitino, Giorgino non ha bisogno di fare neanche quello. Insomma, il primo tempo ci fa rilassare. Segniamo e giochiamo bene. Pensiamo tutti: “Vabbè, se continuiamo così, nel secondo tempo la chiudiamo”.

Ecco. Non abbiamo continuato così. Non abbiamo chiuso niente. Non abbiamo proprio giocato il secondo tempo. Giusto il pareggio. Ce lo siamo meritato tutto. E, nonostante l’incredulità sulla punizione di Calaiò, la nostra incredulità, la sua incredulità e anche  quella dei compagni e dell’allenatore, mi fa piacere che sia stato lui ad ucciderci, quando eravamo già esanimi. E sapete perché? Perché il tifoso napoletano è un essere molto strano. È colui che ti porta in cielo e poi all’inferno, nel giro di due secondi netti. È colui che  grida contro De Laurentiis invece di tifare per la propria squadra, salvo poi urlare: “Dai ragazzi non mollate!” quando ci si è beccati già il goal del pareggio. È colui che, al cartellino giallo di Higuain, ha subito pensato: “E che ci andiamo a fare a Livorno?”, manco stessimo andando a giocare a Barcellona con Varricchio e Berrettoni. Ma, soprattutto, è colui che ha aspettato l’intervista di Calaiò e il suo ritorno negli spogliatoi, per gridargli in faccia la rabbia di un goal, che secondo una logica perversa e malata, non avrebbe dovuto fare. Il povero Emanuele è uscito dal campo chiedendo scusa come se avesse ammazzato la mamma di ognuno di noi. E, invece, aveva fatto solo il suo dovere. E se domenica a Livorno ci segnasse Rinaudo, che faremmo? Lo so che vi state grattando, ma riflettete. Se dovesse succedere, organizziamo una spedizione punitiva?

Allibita, torno a casa e scrivo per esorcizzare. Pensando al povero Calaiò, che ha fatto uno dei suoi più bei goal al San Paolo, ma con la maglia sbagliata.

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