Quel calcio ai mondiali dei trucchi e degli inganni – Volume terzo

Quattro anni dopo il trionfo italiano in Spagna, il campionato del mondo messicano rese omaggio alla “divinità” Maradona, non senza lo spunto polemico sul suo gol di mano all’Inghilterra. Ma quello che precedette la segnatura più bella della storia del calcio, fu uno schiaffo alla rivalità politica tra due paesi in guerra per due scogli e una questione di principio. Nessuno sa se la mano de Dios ebbe questa intenzione, ma la lettura del colpo furbesco del Pibe de oro andò oltre l’infrazione. Uno dei pochi momenti in cui il pallone si sentì in diritto di “autorizzare” l’illecito, di certificare la violazione e di tradurre in poesia quello che in qualunque altro momento, di qualsiasi altra partita, sarebbe stato raccontato come uno scandalo.

A Maradona la fecero pagare nelle edizioni successive, e non per il gol di mano agli inglesi. Nel 1990 il Dieguito in versione “guevarista” gridò a gran voce i trucchi dei sorteggi per Italia ’90, i favoritismi della FIFA e gli intrallazzi dei potenti. Il più grande calciatore di tutti i tempi pagò il suo spirito ribelle nella finale con la Germania. Dopo aver eliminato l’Italia a Napoli e trascinato in finale una delle peggiori  selezioni argentine della storia del futbol, Maradona dovette arrendersi agli orrori arbitrali di Codesal, messicano parente del sistema e “sicario” della FIFA, inviato da quegli stessi potenti per suggellare l’antidieguite manifestata durante il mondiale italiano. Rigore inesistente per i tedeschi (che si erano visti negarne uno prima), rigore negato all’Argentina, arbitraggio a senso unico e vittoria teutonica, in mezzo alla felicità della Roma “Città aperta” svendutasi ai rivali tedeschi solo per fare un dispetto a Maradona. Dopo quel mondiale, Edgardo Codesal Mendez fu radiato dalla federazione messicana per corruzione.

Nel 1994 l’apoteosi della rappresaglia. La Fifa prima le tentò tutte, riuscendoci, per convincere Diego Maradona a partecipare al mondiale, gli introiti statunitensi sarebbero stati a serio rischio senza il Pibe al mundial, e poi, con la scusa dell’efedrina, il power system pallonaro escluse il numero 10 argentino prima degli ottavi con la Romania, dopo essersi accorto che i biancocelesti sudamericani avrebbero potuto conquistarlo, quel mondiale che usò Maradona come strumento mediatico dello startup finanziario.

L’infermiera che prese Diego per mano, conducendolo al controllo antidoping, fu la valletta dello show andato in onda a reti e federazioni unificate, ma col finale già deciso prima del mondiale. in fondo, la squalifica al calciatore più discusso della storia del calcio scattò per un banale raffreddore. Un’ironia davvero amara della sorte, se si considera che, almeno negli ultimi cinquant’anni di calcio, soltanto in Italia sono stati nascosti nessuno sa quanti casi di doping, anche a favore di atleti molto conosciuti. Lo dicono gli oltre 400 morti di malattie legate all’uso di sostanze dopanti. Un’intera serie A. figuriamoci nella storia del calcio mondiale.

Ma al peggio non c’è mai fine, e allora, nel 2002 andò in scena il campionato del mondo più ridicolo della storia del calcio, con arbitraggi al limite della denuncia e favoritismi più infantili ed evidenti di partite giocate al parco tra bambini. Spagna e Italia ne fecero le spese, a favore dei coreani del sud, spediti fino alle semifinali a forza di sviste arbitrali grandi quanto tutta la regione nippo-coerana che ad hoc si costituì paese organizzatore. L’arbitro Moreno, poi arrestato per narcotraffico, scandalizzò il futbol per essersi dimostrato uno dei più ridicoli figuri della storia del calcio. Insieme a lui una lunga serie di arbitri incompetenti furono gli unici protagonisti di una competizione vinta in scioltezza dal Brasile di Ronaldo. La figuraccia del mondiale d’oriente confermò, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, che il calcio è un luogo troppo prossimo ai giochi di potere, regolato dai formulari dell’imbroglio e dalla cronaca retorica del far finta di nulla.

Il calcio, assecondando l’animo miserevole che lo rende ancora più umano, continua a bruciare di fuochi ingannatori, che convincono di vittorie e di successi solo in apparenza autentici. Forse meglio goderselo così, senza soffermarsi troppo, su quei momenti vittoriosi. Lo ha scritto pure Sartre, che “Una vittoria descritta nei particolari, non si sa più cosa la distingua dalla sconfitta”.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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