Maurizio De Giovanni: “Juventus Stadium, la sconfitta della cultura e della giustizia”

maurizio-de-giovanniSarebbe bene che il calcio italiano prendesse atto, finalmente, dell’esistenza di telecamere e microfoni. Che così si rendesse conto che non c’è nulla di quello che accade in campo che non venga rilevato puntualmente dagli innumerevoli strumenti che la tecnologia va implementando mese dopo mese. Il match di ieri ha proposto un’evidente, violenta discrasia tra quello che andava succedendo sul terreno di gioco e quello che gli imbarazzati commentatori tacevano, fingendo di non accorgersi di ciò che invece gli svariati milioni di spettatori nel mondo percepivano distintamente: mentre i numerosi replay evidenziavano il fuorigioco che aveva falsato il gol di Llorente ed evidentemente la partita già al secondo minuto, la clamorosa topica di arbitro, guardalinee e arbitro di porta veniva ignorata.

Fino a quando, all’inizio della ripresa, il fatto era ormai pressoché ininfluente.
E quando lo si diceva, si aggiungeva il numero esiguo di centimetri quasi a giustificare l’errore, tacendo che la testa del centravanti era invece ben più avanti del piede elettronicamente rilevato, comunque in off side. Ma non è il fatto tecnico che conta: si tratta in fondo di una partita di calcio, per di più giocata nell’ambito della dodicesima giornata, e in concomitanza con un pareggio romano col nobile Sassuolo che affievolisce l’effetto della sconfitta. Non è questo, che conta.
Quello che conta è l’assurdo, terribile silenzio nel quale continuano gli atroci cori delle curve di tutta Italia, invocanti interventi divini o catastrofi che liberino il Paese dalla fastidiosa, maleolente e delittuosa presenza di noi napoletani.
Un silenzio purtroppo condiviso dalla Lega, che si inventa un assurdo aggiramento delle regole con una sospensione condizionale della pena a beneficio dei movimenti ultrà che tengono le società sotto economico ricatto; dalle forze dell’ordine, incapaci di individuare i capi delle frange responsabili di questa reiterazione di reato e di sbatterli finalmente nel posto che meritano e che li ospiterebbe in ogni nazione civile, cioè in galera; degli organi di stampa e delle televisioni, che pur di mantenere in piedi uno show così remunerativo insistono a far finta di niente, limitandosi a qualche ipocrita e marginale commento peraltro finalizzato a far presente solo il rischio di squalifica del campo.

Non conta la sconfitta rimediabile di una squadra o dell’altra. Conta la sconfitta, quella sì irrimediabile, della cultura, della giustizia, dei principi costituzionali che vengono lacerati e fatti a pezzi da questi imbecilli senza cervello, impunemente e costantemente.
Ieri i tifosi del Genoa, in virtù del gemellaggio che li unisce a quelli azzurri, durante una partita col Verona, quindi in un contesto nel quale il Napoli e Napoli nulla c’entravano, hanno risposto cantando la nostra canzone all’insistente coro della curva ospite che invece di occuparsi della brutta sconfitta della propria squadra pensava a invocare il fuoco del Vesuvio. E la pluridiffidata tifoseria juventina ha fatto anche peggio, irridendo perfino lo speaker dello stadio che ricordava l’eventualità di una squalifica. Non sappiamo se anche negli altri stadi il divertente sport della bestemmia e dell’ingiuria corale sia stato esercitato; non lo sappiamo perché magari non ce lo dicono, come non ce l’hanno detto per Genova: lo abbiamo dedotto dal coro. Ce l’hanno raccontato gli amici genoani, cantando.

Il Napoli ha perso, sì. E la cosa, inutile dirlo, ci rattrista. Ma in queste condizioni è come preoccuparsi della possibilità di un tetano con un coltello infilato nel cuore. Non conta la partita. Conta quello che sta accadendo nel calcio e quindi nel Paese. Contano i cori, e le punizioni che il codice sportivo e quello penale richiedono con forza, inutilmente.

Questo conta. Solo questo.

Fonte: Il Mattino

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