Il 65esimo ruggito di Marek

editoriale_luciana_espositoEd il nuovo Napoli di Benitez giunse a Verona, chiamato a misurarsi contro quell’ostica bestia nera che dal campionato 2009/2010 non riusciva ad eludere.

Il Chievo delle disfatte e delle sconfitte più aspre da ingurgitare, proprio lui, ancora una volta, poteva sbarrare la strada agli azzurri, frapponendosi tra sogni e realtà, negando loro la conquista dei punti utili per alimentare ambizioni e velleità.

La storia, tuttavia, stavolta, ha imposto un epilogo diverso, concitato, analogo a quello vissuto appena sette giorni fa contro l’altrettanto arcigno Bologna, avversario, proclamato dalla storia moderna, parimenti proibitivo per la compagine azzurra.

Perché sovente nel calcio, così come nella vita, accade che non vince chi è favorito sulla carta, in quanto supportato dalla formazione più competitiva, ma piuttosto chi mostra e dimostra maggiore impavida sfrontatezza ed inamovibile voglia di vincere.

Pertanto, il fantasma delle disfatte del passato, probabilmente, era il vero nemico da esorcizzare per gli azzurri, rigenerati, nel modulo e nella mentalità dal nuovo credo di Rafa.

Ed il campo, anche quello fino a ieri invalicabile di Verona, lo ha palesato.

Il ruggito di Marek, ieri come sette giorni fa, ha travolto gli avversari e stravolto di enfasi i suoi tifosi, i suoi fratelli napoletani, per ben due volte.

Ruggito che sprigiona veemente rabbia, analoga a quella di un intrepido, famelico e spietato armigero, affamato di gol, vittorie, successi, conquiste, standing ovation.

1235130_367849093345346_807127912_nMarek, attraverso quel sussulto di potenza, tecnica e passione, ha mostrato l’anima di un prode condottiero, munito di spalle sufficientemente robuste e larghe per farsi carico del gravoso e delicato fardello consegnatogli, a furor di popolo, dal suo popolo.

La scaltra e prodigiosa grinta che il suo indomabile destro sprigiona, ben incarna il desiderio di rivalsa della gente che è chiamato a rappresentare, allorquando scende in campo con la maglia azzurra ed, ancora di più, quando la fascia di capitano gli avvolge il braccio.

Marek è un talento esponenziale, destinato a raggiungere l’apoteosi della sua espressione sotto la guida di Benitez, lo ha decretato con crescente fermezza il campo, seppur solo nell’ambito delle prime due gare ufficiali.

Tuttavia, la prorompente padronanza del campo, i virtuosismi a base di intelligenza tattica, sublime classe e sopraffina tecnica, lasciano labile margine alle remore ed agli indugi.

Marek è un fuoriclasse puro, uno di quei calciatori predestinati a praticare la cabalistica e tortuosa arte del calcio, uno di quelli ai quali il pallone scorre nelle vene misto al sangue.

Marek è un calciatore vero.

Lo ribadisce, lo rimarca, lo sottolinea e lo riconferma alla sua maniera, con la rete che rompe gli indugi delle incertezze e consente alla sua squadra di tirare il classico sospiro di sollievo, estrapolandola saggiamente dal momento di topico torpore nel quale imperversava.

Atteggiamento da leader autentico, da capitano affidabile, da fermo ed inamovibile punto di riferimento, da calciatore determinato, da napoletano attaccato alla maglia.

Lui, uno di quelli che un tempo furono denominati “i tre tenori”, è stato l’unico a non consentire all’appetibile richiamo del millantatore denaro di strozzargli quel ruggito in gola.

Marek per la sua Napoli non ha mai smesso di cantare ed oggi, più che mai, il suo taumaturgico urlo inonda e pervade il cielo di Napoli.

Marek, grazie alla congenita e repentina lettura delle dinamiche di gioco, sa essere l’uomo giusto al momento giusto: sotto porta, in fase difensiva, dettando tempistiche ed inserimenti.

Marek è acume, lungimiranza, classe, orgoglio, cattiveria agonistica, maturità, tempra.

Marek è infallibile, implacabile, inarrestabile.

Oggi più che mai.

Tra il gol che ha aperto le danze ed il secondo che porta la firma dello slovacco, c’è molto altro: il gol di Callejon, figlio di una pregevole giocata tra lo spagnolo e Gonzalo Higuain, la doppietta di Paloschi, utile a palesare talune lacune difensive azzurre, nonché segnali di sofferenza sulle corsie esterne, con i due interpreti partenopei, notoriamente abili nella fase di spinta, ma non altrettanto impeccabili nella fase di copertura.

Tuttavia è emerso anche un Napoli che, nelle fasi iniziali e in quelle finali della gara, in maniera più marcata, ha manifestato di possedere la sfrontata consapevolezza del proprio potenziale, condizione necessaria per giocarsela a viso aperto contro tutte, su tutti i campi; il pressing alto finalizzato ad eludere l’acuto gioco di Sannino, finalizzato a rendere la sua squadra vulnerabile, palesa la lungimiranza di una squadra che ragiona ed imposta ed imposta e ragiona; un Inler in grande spolvero che ricorda a Benitez e tifosi di disporre di quel chirurgico e potente tiro da fuori area, che potrebbe candidarsi ad “efficace soluzione per stasare risultati difficili da sbloccare”.

Dopo il secondo gol di Hamsik, inoltre, c’è tempo, spazio e desiderio di gioire ed esultare ancora, così giunge la prima rete con la maglia azzurra di Gonzalo Higuain, al quale sono bastate un paio di partite per esibire la sua indole di attaccante con la “A”.

Il Chievo è battuto e si fa festa in un Bentegodi gremito di supporter azzurri.

Vince il Napoli, troneggia Marek, a Napoli, come a Verona.

E Napoli lecitamente sogna, guidata dal suo capitano, di espugnare l’intero stivale.

Luciana Esposito

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