L’editoriale di Elio Goka: “Tito Traversa, dodici anni e l’ultima scalata”

editoriale_elio_goka-300x150Tito Traversa è stato un piccolo testimone della grande regola della vita. Fatica per arrivare lassù e poco per finire nel verso contrario. L’antica legge biblica del rovescio che non ammette uomini capaci di approssimarsi al cielo non lo ha risparmiato. Babele non è soltanto una torre di fraintendimenti, ma pure il simbolo di un divieto. Però certe cose non si possono spiegare ai bambini.

Tito Traversa, che pare il nome di un attore, oppure di un gangster dal cuore tenero, o di un giocatore di biliardo solitario e scommettitore, quasi da romanzo. Certo che a primo acchito tutto fa venire in mente fuorché il nome di un enfant prodige, di un volatore tra le rocce, un baby climber invecchiato anzitempo dentro una botte precaria di trionfi.

La sua storia breve e concisa prende a botte il venditore di fronzoli e sbriga una faccenda privata che riguarda una fine che mette al mondo più vite. Che paradosso, con quanta netta e semplice compiutezza il destino apre e chiude le porte, adesso da custode gentile e premuroso, ora da spietato e freddo carceriere.

Tito Traversa, di Ivrea, campione appena dodicenne, record baby del climbing, prodigio della scalata, è caduto da una parete alta quasi venti metri, e dopo pochi giorni di inutile attesa, i genitori hanno deciso di donare gli organi del bambino.

Le Falesie francesi di Orpierre, località vicino Grenoble, sono state la sua ultima fatica, lontano dagli occhi attenti dei genitori, dall’apprensione e, come è emerso da alcune fonti, pure dalla giusta e scontata sicurezza di un’attrezzatura che sembra non fosse la sua. Senza casco e senza altre corde, Tito avrebbe potuto evitare gli effetti estremi dell’incidente, ma, a prescindere dalle indagini, se mille ragioni o una sola l’hanno portato via ai suoi affetti e al mondo dello sport, non è che il coperchio delle cose inutili.

E pensare che il padre avrebbe dichiarato che la parete in questione non avrebbe dovuto rappresentare un grande ostacolo per il ragazzino, forte di una preparazione che gli aveva consentito di affrontare prove molto più complicate. Invece, pare che i rinvii non abbiano retto, laddove, sempre secondo il padre Giovanni, “Tito sarebbe stato capace di salire a occhi chiusi”. Purtroppo, però, le scalate sono percorsi verticali frequentati anche da sgraditi accompagnatori.

Eppure, il fegato di Tito potrebbe essere già servito, a una ragazzina malata di una rara patologia, operata all’ospedale di Bergamo. Caso ha voluto che entrambi, Tito e la bambina, presentassero una complicata incompatibilità con potenziali donatori e beneficiari. Invece, lo stesso destino ha deciso che il fegato di Tito fosse compatibile con quello della bambina. Secondo alcune indiscrezioni, l’operazione sarebbe stata già effettuata e il trapianto dovrebbe essere riuscito.

Costa tanto arrampicarsi in alto, contro gravità, nel silenzio della fatica e del sacrificio, incuranti di quello che c’è sotto e ansiosi di scoprire quello che c’è sopra. Ma è una formula vecchia come il mondo, che ha dentro di sé una ignobile e inquietante controindicazione.  

Avrebbero dovuto avvisarlo prima, Tito Traversa, che in palio ci sarebbe stato qualcosa che ai bambini sembra sempre una cosa troppo lontana. Io me lo ricordo, che durante l’infanzia la morte mi dava la sensazione di una cosa riservata agli anziani, agli adulti di un’età che in quel periodo si crede lontana, la morte quasi a tutti tranne che a me. L’incoscienza di un senso dell’immortalità di cui soltanto un bambino può convincersi. E pensare che da ragazzino a malapena riuscivo a scavalcare un cancello.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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