L’editoriale di Luciana Esposito: “il fallo del rigore fallace”

editoriale_luciana_espositoBislacco e districato è il vortice di complesse emozioni che si aggroviglia intorno al calcio estivo che, ancor di più si avviluppa, quando è la Nazionale a scendere in campo.

Il Campionato manca agli appassionati di calcio con la stessa compulsiva ed ossessiva temperanza che l’alcolizzato manifesta verso il vino piuttosto che il drogato verso la sua dose quotidiana di veleno e perdizione.

Per il tossicodipendente del pallone, amichevoli, più o meno prestigiose, competizioni, tornei, ufficiosi ed ufficiali, campionati del mondo e qualsivoglia altro evento capace di far confluire 22 calciatori all’interno del rettangolo verde, assumono le medesime, provvidenziali parvenze di una manna piovuta dal cielo, dopo giorni di preoccupante ed asfissiante siccità.

Lo scorso giovedì, ci eravamo illusi, ci avevamo sperato e, in alcuni momenti, forte e deciso era il sentore che alla mezzanotte di stasera, al Maracanà di Rio De Janeiro, potessero essere gli azzurri di Prandelli a scendere in campo contro il Brasile, padrone di casa, nonché acerrimo, consolidato e storico nemico dell’Italia, per disputare la finale della Confederations Cup.

Invece no.

Ancora una volta l’ha spuntata la Spagna.

Tuttavia, gli azzurri hanno venduto cara la pelle, combattendo fino all’ultimo minuto regolamentare ed anche oltre, protraendo le ostilità fino ai tempi supplementari. Tramortiti, sfiniti, sfiancati, eppure ancora disposti a combattere, fino alla stregua delle loro forze per tentare di violare la porta difesa dall’eterno Casillas.

Questo è ciò in cui gli italiani vogliono rispecchiarsi: onore ed orgoglio.

I calci di rigore si sa, sono una lotteria equivalente al chiedere ai capitani di scegliere tra testa e croce per decidere a chi assegnare la palma del vincitore.

E’ tutt’altro che scontato che vinca la squadra più forte o quella che nell’arco del match ha dimostrato di esserne maggiormente meritevole, poiché il mix di elementi che concorre a determinare il buon esito del penalty, da parte di ciascun rigorista, rappresenta un teorema delle probabilità composte costituito da un’infinità di variabili imprevedibili, la cui risultante finale è ignota, finché il prescelto, “vittima” o “carnefice” di turno, non imprime il suo colpo, “letale” o “innocuo”, alla sfera.

Come accade in ogni “gioco d’azzardo” che si rispetti, “non è facile vincere facile” e la possibilità di fallire è contemplata nel fascino e nel brivido dell’incerto, insito nell’impresa.

I rigori è capitato di sbagliarli a tutti, proprio a tutti.

Stavolta, lo sventurato di turno si chiama Bonucci.

Tuttavia, l’elenco di coloro che si portano annodato, tra visceri e coscienza, il cruccio di aver sbagliato proprio quel penalty decisivo per le sorti della Nazionale è composta da ben altri ed illustri nomi.

Quel fardello, probabilmente, te lo trascini dietro per tutta la vita. Nel momento in cui ti macchi di quella colpa, ti si attacca addosso un’etichetta indelebile, che né il tempo né gli errori dei successori potranno rendere più sfocata. Nel momento in cui fallisci il rigore cruciale, entri nella storia come colui che “l’ha sparata alta sulla traversa”.

Eppure, in politica, con una frequenza assai più spaventosa ed incisiva, rispetto a quanto avvenga nel calcio, è altresì accaduto che coloro che ci rappresentano su ben altri è più significativi versanti, indossando tutt’altre mise rispetto a calzoncini bianchi e maglietta azzurra, abbiano clamorosamente fallito l’occasione di replicare in rete calci di rigore assai più emblematici, quelli utili a cambiare/ migliorare le sorti della nostra Nazione, nonché le qualità delle nostre vite. Delle vite di tutti: dei calciatori in campo così come degli spettatori.

E allora, siamo poi così sicuri che è lecito mandare al rogo il maldestro calciatore di turno?

Del resto, riflettendoci su, forse, dovremmo essergli perfino grati per aver sacrificato le sue vacanze, pur di salvarci da quella spasmodica e sonnacchiosa astinenza da calcio.

Luciana Esposito

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