Fabio Pecchia, storia di uno ‘scugnizzo’ adesso vice di Benitez

pecchia vice benitezPECCHIA VICE BENITEZ | Uomini giusti al posto giusto, per provare ad iniziare col piede giusto. Filastrocche a parte, è un Napoli pragmatico e di sostanza quello che va a delinearsi. Via Mazzarri? Poco male, arriva il pluridecorato Benitez. Via pure Cavani? Non mancherà il, o i degni sostituti. Uomini, solo uomini di spessore, evitando i “caporali” per continuare a far sfavillare l’azzurro. Ancor più di prima. E allora: non arriva Zenden dai Paesi Bassi, ex olandese indicato dapprincipio da Benitez come allenatore in seconda, e poi sfumato per motivi logistici? Poco male, arriva un vecchia ma molto gradita conoscenza. Trattasi dell’avvocato Fabio Pecchia, terzo capitolo della saga per lui: dopo l’arrivo, il desiderato bis, ecco il tris calato. Ma in nuova ed intrigante veste, per un’inedita sfida, quella di comandante in seconda. Il che, potrebbe dire tante altre cose. Potrebbe voler dire che l’ex motorino del centrocampo azzurro, farebbe da apripista al seminedito Rafa, soprattutto riguardo alle questioni di ambientamento, ma anche ad un immediato raccordo con lo spogliatoio, che all’inizio di ogni avventura va affrontato nel modo più appropriato. Pecchia per Zenden, potrebbe essere perciò uno scambio vantaggioso, visto che il “professorino” ha dimostrato in passato di muoversi molto bene nell’universo azzurro. Lo ha sempre fatto con senso della misura, decisione, acume, ma soprattutto con spiccata personalità. Benitez, assieme al Napoli, non potrà che giovarsene. Da Viviani a Frustalupi, poi, i precedenti sono senz’altro di buon auspicio.

LUI E IL NAPOLI – Ne ha viste e giocate di dritte e di storte, di cotte e di crude, con qualche minestra riscaldata. A Napoli i primi due heats sono durati complessivamente cinque anni. Prima il quadriennio dal 1993 al ’97 e poi l’anno di disgrazia, il primo del terzo millennio. Nell’ultima stagione da calciatore azzurro, quella 2000/01, il 27enne motorino del centrocampo, pur onorando la maglia con 27 presenze in campionato e 6 gol dovette dare l’addio alla serie A, assieme a Zeman prima e Mondonico poi, ed ai vari Stellone, Bellucci, Jankulowski, Sesa, Matuzalem , ma pure ‘O Animal Edmundo. Boccone amarissimo da ingoiare, chissà quante volte durante le successive avventure a Bologna, Como, Siena, Ascoli, Frosinone e Foggia avrà pensato: e no, così no però! Ma il tempo sovente è galantuomo, e il cerchio spezzato potrebbe stavolta finalmente chiudersi. Il suo stesso karma induce all’ottimismo, poiché invece il Pecchia del quadriennio era un ventenne di belle speranze, un giovanottino tutto d’un pezzo che non faceva distinzione fra lavoro e studio, affrontandoli sempre con applicazione. E venendone ripagato dai risultati. Quattro stagioni con tempo bello, 125 presenze e 15 gol, stimato e apprezzato da Lippi, Boskov, Simoni e Montefusco. Una finale di Coppa Italia persa col Vicenza e l’oro di Spagna con l’Under 21 agli europei del ’96 prima di passare per 10 miliardi alla Juve. Scudetto e Supercoppa e tanta saudade.

LUI E RAFA –  A lezione di calcio spagnolo tradotto in inglese. Lui, pontino, con Napoli nel cuore, sceltosi girovago per diventare un poliglotta della panchina. Scrutando, studiando, introiettando quel modo attraente di fare calcio, per farlo suo e riproporlo poi a Gubbio e Latina. Due esperienze molto costruttive anche se finite male, vuoi anche per intromissione della cattiva sorte la prima, che per risvolti paradossali la seconda, con esonero nonostante il terzo posto in classifica. Ma di certo avventure formative dopo quel ping pong a carattere esplorativo e conoscitivo speso bene fra Barcellona, Madrid e poi Liverpool. Dove I’awocato che sa sempre quello che cerca e vuole, chiede ed ottiene di assistere al training di Benitez, già un piccolo guru dopo il miracolo Valencia. Cinque anni fa, visite reiterate, ma anche gradite al madrileno, con lui pure un paio di cene, cultore dei rapporti umani, di quelli genuini ma pure contraddistinti da savoir faire, condito da determinazione. Insomma fu subito empatia. Tanto che, alla proposta di Pecchia come vice, pare che Sir Rafael non abbia replicato “obbedisco” ma: “con molto piacere”. impressionato dall’arguzia, dalla cultura e i modi da ragazzo perbene del 40enne di Lenola. Ci sono poi diverse assonanze fra i due: su tutte quella che pongono il lavoro ferreo e l’applicazione costante alla base del loro credo calcistico.

LUI E LA CITTA’ –  Latina, Formia e Napoli. Dov’è nato e allenato da nemo propheta in patria, dov’è cresciuto, e dove s’è consacrato in campo, ma passando prima per Avellino. Tre fronti caratterizzanti posti su di un’unica linea ideale. Napoli e però l’amata e mai odiata. Meta di improvvisi blitz giovanili per respirare l’aria del lungomare più unico che raro, per fare bagni di folla e, dulcis in fundo, per cibarsi di pallone e codici, le due cose da anteporre a tutto, e per le quali non gli fu difficile trovare punti di convergenza. Fabio Pecchia studiava e giocava, giocava e studiava in perfetta alternanza, scegliendo di fare in quel di Soccavo “casa e puteca” ed in entrambi i casi divertendosi. Perché per lui come per Benitez le due cose, cioè lo studio ed il pallone, ben si sposano e producono pure endorfine. Le lezioni di giurisprudenza alla Federico II, Spaccanapoli e Mezzocannone fatti e rifatti avanti e indrè, come in campo le fasce e pure la mediana, per cercare improwise verticalizzazioni e conclusioni. Anche quando zigzagò da calciatore per la Penisola, ogni occasione era buona per ripercorrere le strade, per rivivere i sapori, i colori e gli odori di una città che l’aveva affascinato da subito. Più di tutte le altre. A Napoli di ritorno assieme a Paco De Miguel, nuovo preparatore atletico, per visitare la struttura. Poi verra la firma del biennale, dopo di che il tour della città con ‘O Mast. Perché no.

Fonte: Corriere dello Sport

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