Lara Barbieri: “la regista” del Napoli Carpisa Yamamay

Lara Barbieri Lara Barbieri, classe 1986, sopraffina regista del Napoli Carpisa Yamamay, giunta l’estate scorsa per fornire il suo valevole e valoroso contributo, aggiungendo il suo nome all’elenco della rosa protagonista della “stagione dei record”, da poco volta al termine con la conquista del quinto posto in classifica, contro ogni aspettativa e a dispetto di qualsivoglia pronostico, all’esordio nel campionato di serie A femminile.

Come ti sei avvicinata a questo sport e come hai “scoperto” di essere una centrocampista?

“Fin da quando ero piccola, ho sempre giocato a calcio. Ho iniziato in cortile, con gli amici di mio fratello, poi sono entrata a far parte della squadra del mio paese, ovviamente, era una squadra maschile e, solo in quelle occasioni, ho giocato qualche partita come difensore centrale. Poi, all’età di 12 anni, sono passata con la squadra femminile della Reggiana, durante il primo anno, venivo schierata come centrocampista centrale o sulla fascia, a seconda delle caratteristiche degli altri elementi che venivano schierati in campo, dalla seconda stagione in poi, ho sempre giocato come centrale di centrocampo. A mio avviso, è il ruolo più bello, ruota tutto intorno al centrocampo: devi difendere e servire le punte, saper chiudere le fasce. Hai tante responsabilità, ma anche altrettante gratificazioni se svolgi bene il tuo compito.”

Acquario è il suo segno zodiacale e le caratteristiche insite in esso, ben descrivono Lara, donna e calciatrice.

Rispetto e logica, onestà e fedeltà, originalità ed indipendenza, riservatezza e cordialità. Il passato funge da esperienza durante la fuga, sempre proiettata in avanti. Disprezzo verso tutto ciò che è pedante e limitato. Raziocinio ed impeto, pertanto, si fondono in un connubio armonico che ben traspare dalle prestazioni di Lara in campo. Ruolo infimo ed affascinante quello del centrocampista centrale, onore ed oneri si susseguono, si accavallano, si intrecciano e solo un’abile ed accorta tessitrice di trame, può essere capace di districarne gli ingarbugliati nodi e tramutarli in pregevoli tele.

Cosa significa per te giocare a calcio?

“Il calcio è una delle mie più grandi passioni, gioco da 17 anni, ormai. Non dico che è tutto, perché la vita è fatta anche di altro, ma per il calcio ho fatto tanti sacrifici ed ha saputo ripagarmi con enormi soddisfazioni.”

Reggiana, Michigan Phoenix, Riviera di Romagna e Napoli. Queste sono le quattro squadre con le quali hai giocato nel corso della tua carriera. Quale ricordo è legato a ciascuna di queste maglie?

La Reggiana è la squadra della mia città, quella nella quale sono cresciuta. Il ricordo più forte legato a questa maglia è la Coppa Italia vinta da vice-capitano, purtroppo, poi, l’anno successivo, le cose sono andate diversamente e la società è fallita per mancanza di sponsor. Purtroppo, nel calcio femminile, l’economia e le dinamiche sono molto diverse rispetto a quelle che contraddistinguono il calcio maschile.
Con il Riviera di Romagna, siamo riuscite a centrare la salvezza senza accedere ai play out, nonostante quella per me sia stata una stagione strana, essendomi trasferita in un’altra città, ed, inoltre, dopo i 13 anni trascorsi nelle file della Reggiana, mi ritrovavo ad approcciare con una squadra nuova.
Il Napoli mi inseguiva da due anni, così, l’estate scorsa, ho deciso di abbracciare questa nuova avventura. Questa squadra, all’esordio nel campionato di massima serie femminile, si prefiggeva due obiettivi: una salvezza tranquilla e far bene in Coppa Italia. Direi che, a fronte del quinto posto conquistato in Campionato e del fatto che siamo ancora in corsa per la Coppa Italia, possiamo ritenerci più che soddisfatte. Spero che riusciremo a vincere la Coppa Italia, sarebbe una grande soddisfazione.
Quella del campionato americano, invece, è un’esperienza da fare e che consiglio, poiché ti porta al confronto con uno stile di vita diverso, oltre che con un differente modo di giocare a calcio. Nella squadra del Michigan, solo io e un’altra calciatrice eravamo italiane, il resto della rosa era composta da giocatrici giamaicane, cinesi, insomma, una squadra multietnica. E’ un’esperienza che rifarei di corsa. Anche se, in quella circostanza, partecipai al campionato estivo, una sorta di serie A2 del nostro campionato, che, però, dura solo un mese, quindi, mi sottoponevo a due sedute d’allenamento al giorno e giocavamo due partite nel week end, quindi era tutto più concentrato ed intenso.”

Quali differenze hai rilevato tra il calcio femminile italiano e quello americano?

“Premesso che avendo disputato un campionato estivo, non posso giudicare il campionato di massima serie americano, ma, sulla base dell’esperienza che ho maturato, ho rilevato che il loro gioco si basa prettamente sulle palle lunghe, quindi è meno organizzato rispetto al nostro calcio ed è molto più fisico. Nella maggior parte delle squadre che affrontavo, c’erano 3-4 calciatrici che erano dei veri e propri armadi e, la restante rosa, di certo, non brillava per le caratteristiche tecniche dei suoi elementi!”

Anche se hai saltato le ultime partite per infortunio e non hai potuto dare il tuo contributo nel finale di stagione, come giudichi questo Campionato da poco terminato? Come hai visto il Napoli da spettatrice?

“La reputo un’annata positiva, indubbiamente. Abbiamo chiuso il Campionato conquistando il quinto posto, sabato disputiamo la semifinale di Coppa Italia, considerando che eravamo una squadra neopromossa in A, quanto dimostrato da me e dalle mie compagne, non può che essere apprezzabile. E’ pur vero che la società ha investito tanto per allestire un organico competitivo e i risultati si sono visti.”

Quali sono le tue ambizioni per il futuro?

“Mi auguro di vincere ancora qualcosa e di continuare a giocare in Serie A. Riuscire a non infortunarmi più, rappresenterebbe già una grande vittoria per me, poiché mi sono rotta il crociato già due volte! Non mi prefiggo obiettivi né mi ripropongo di perseguire sogni di gloria: continuare a praticare questo sport con passione come ho sempre fatto è quello che mi sta a cuore e ciò che desidero seguitare a fare.”

Cosa fai quando non giochi a calcio?

“Prima di venire a Napoli, ho lavorato come addetta al rilevamento prezzi in un supermercato, ma qui non potevo far collimare le due cose, quindi, ho dovuto lasciare il lavoro. Da quando sono qui, leggo, vado al mare, faccio la turista in giro per Napoli e la città devo dire che mi piace molto.”

Cosa farai quando non giocherai più a calcio?

“Non lo so. Siccome lo percepisco come un giorno ancora lontano, mi riesce difficile trovare una risposta. Amo viaggiare, quindi mi piacerebbe andare all’estero, visitare l’Europa e il Sud-America, poi, sicuramente, metterò su famiglia, ma, ripeto, quel giorno è ancora lontano.”

Come ti trovi a Napoli? Quali sono le differenze che intercorrono  tra i napoletani e gli emiliani?

“Gli emiliani sono più chiusi e riservati rispetto ai napoletani, ma, tuttavia, anche noi siamo gente semplice. I napoletani, inoltre, devo dire che sono un pò invadenti, ma nel senso pacifico del termine! La città mi piace molto, anche troppo! Viverla tralasciando i pregiudizi, è tutt’altra cosa. Se si da credito a quello che trapela dalla tv, quindi solo gli aspetti negativi, si è indotti a credere che Napoli è la terra della spazzatura e delle sparatorie, in realtà, è ben altro, ma per capirlo, è necessario, venire qui e viverla.

Cosa vuoi dire ai tifosi, appassionati di calcio, che ancora non vi seguono?

“Di lasciare da parte il pregiudizio legato al calcio, secondo il quale le donne sono strutturate per stare in cucina e fare da mangiare e non per praticare questo sport. Sono certa che chiunque ama il calcio, se verrà a vedere una nostra partita, si appassionerà e inizierà a seguirci. Nel nostro calcio è palese che si gioca per passione e non per soldi. Spero vivamente che gli spalti del Collana siano gremiti di pubblico l’anno prossimo.”

Luciana Esposito

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