Si fa presto a chiamarli “massaggiatori”

293040_457137027652748_385562630_nSono ragazzi come noi, come i vostri figli.

Ragazzi che per anni hanno sgobbato tra i banchi di scuola e che hanno trascorso interminabili notti insonni, riversi sui libri universitari, motivati dall’unica e “terrena” ambizione di trovare una collocazione lavorativa che gli assicurasse una vita quanto meno serena e dignitosa.

Mai, nessuno di loro, quando era un acerbo e gracile studente, si sarebbe sentito legittimato a spingersi troppo oltre con i sogni, fino a disegnarsi idealmente sulla panchina azzurra, pronto a scattare in campo allorquando il guerriero di turno fosse stato azzoppato da un avversario.

Eppure, loro sono lì e i successi del Napoli passano soprattutto dalla loro mani.

Quelle abili, capaci ed impagabili mani che incessantemente lavorano, prima, durante e dopo una partita, partita dopo partita, per tutte le partite.

Per un fisioterapista o per un laureato in scienze motorie nato a Napoli, sedere sulla panchina azzurra in veste di massaggiatore del Napoli, rispecchia la stessa emozione che scivola lungo la schiena dell’ “Insigne di turno, napoletano figlio di quella stessa Napoli, cresciuto tra i vicoli di questa città, in nome di un sogno dipinto d’azzurro.

L‘amore per la maglia, la passione per i colori azzurri che scorre nelle loro vene mista al sangue, fa la differenza.

In entrambi i casi.

E forse nel primo anche di più.

Perché loro non percepiscono gli stipendi da capogiro dei calciatori, seppure la mole di lavoro svolta sia uguale, se non superiore, a quella dei beneficiari delle loro mansioni, eppure a loro tocca il lavoro sporco”: massaggiare muscoli, prevenire infortuni, mantenere i nervi saldi e la concentrazione viva e vigile, sempre.

Perché un loro errore può costare caro agli interpreti che conferiscono forma e movimento a quella maglia, ragion per cui, loro per primi, uno sbaglio non se lo perdonerebbero mai.

Anche se questo significa rimanere relegati nelle retrovie, non essere riconosciuti per strada, non rilasciare interviste e dover pagare il conto al ristorante, ma soprattutto trascorrere infinite domeniche lontano da casa, non andare a ballare con gli amici il sabato sera e limitarsi a sbirciare qualche attimo di frugale spensieratezza immortalato dalla foto di turno postata su facebook e commentarla con un sorriso,dolce ed amaro, perché è bello essere lì, accanto agli idoli dei tuoi stessi amici, ma loro, quelli che ti vogliono bene per come sei e non per quello che sei diventato, inevitabilmente, ti mancano.

I loro sacrifici, quelli che nascono dal limpido ed ineffabile amore che nutrono per la squadra, quel viscerale ed indistricabile attaccamento alla maglia, la loro sincera e servile passione verso il mestiere che hanno scelto di imprimere alle loro mani, ma anche verso quella che madre natura gli ha inferto nel cuore, costituiscono la base dei successi dello staff medico del Napoli, composto da indiscutibili professionisti, ma ancor prima, da grandi uomini.

Ed è bello pensare che, per una volta, sotto le luci dei riflettori a raccogliere la standing ovation del pubblico, ci finiscano loro, ragazzi semplici, capaci di encomiabili gesta, silenziosi eroi che lavorano nella riservatezza della penombra, in grado di imprimere nei muscoli dei guerrieri azzurri, l’energia e la forza che conferisce lustro alle loro prestazioni.

Grazie, infinitamente grazie, infinite volte, grazie a voi.

Costruire una squadra vincente, vuol dire riporre il Napoli nelle loro mani.

Ancora e sempre.

Luciana Esposito

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