Calcio e dittatura, volume terzo – Il Caudillo e il suo calcio tragicamente immortale

Francisco_FrancoUn altro dittatore ha tramato la sua strategia propagandista per rafforzare la sua figura politica, al tramonto di una cruenta guerra civile.

Nel 1938, la Spagna non partecipa ai mondiali, perché il paese è spaccato da un conflitto interno tra l’ala della sinistra repubblicana e quella nazionalista rappresentata da Francisco Franco. Mussolini decide di sostenere Franco che, anche se a caro prezzo, riesce a sconfiggere la resistenza repubblicana, rinunciando a una serie di relazioni internazionali che isoleranno la nazione dal resto d’Europa.

Il sostegno a Hitler, da parte di Franco, è implicito, del resto confermato dai bombardamenti dell’aviazione nazista della città di Guernica (come testimoniato dal celebre quadro di Picasso) che distruggeranno la città, in seguito al duro intervento aereo dell’aeronautica tedesca e dell’Aviazione legionaria italiana.

Franco, dopo essere riuscito a rendere più stabile il suo potere, ha bisogno di far guadagnare favori e consensi al proprio regime. Quale migliore soluzione, se non quella di adottare, sotto la propria ala protezionista, uno dei club più rappresentativi del calcio spagnolo. Il Real Madrid, la squadra del re. La dittatura targata Franco durerà per decenni, e il Barcellona, così, diventa la squadra simbolo dell’opposizione. Nel 1936, viene addirittura assassinato il presidente della squadra di calcio, Josep Sunyol, e il suo omicidio è solo parte di una lunga trama di rappresaglie ai danni di chiunque ostenti simpatie per la fazione catalana della Spagna franchista, colpita da una dittatura politica che si intreccia con le rivalità separatiste, i gruppi anarchici, la chiesa e gli equilibri internazionali.

L’assassinio di Sunyiol avviene quasi per errore. Il presidente catalano, viene fermato a un posto di blocco, e, convinto di trovarsi in una zona presidiata dai repubblicani, urla ai poliziotti “viva la repubblica!”. In realtà, i militari sono uomini di Franco, e all’esclamazione di Sunyol, non esitano ad aprire il fuoco, uccidendo Josep e quelli che sono con lui.

Durante gli incontri di calcio, per tutta la durata del regime franchista, ai tifosi del Barça non è consentito portare bandiere, perché sarebbero sequestrate all’entrata. Ai catalani è anche vietato parlare la propria lingua. Pena, l’arresto, anche se lo stadio resta l’unico luogo dove i catalani riescono a scampare alle rappresaglie continuando a parlare il catalano.

Il retaggio propagandistico di Franco si prolunga fino a dopo la caduta del suo regime. Anche i grandi calciatori del Barça anni ’80, testimonieranno la percezione di ambiguità e di imbarazzi, rispetto alla vecchia e cruenta competizione con i madrileni della “Casa blanca”.

Nonostante l’intervento politico di Franco, il Real, tra la fine degli anni ’30 e il 1954, non riesce a vincere un solo scudetto, assistendo spesso ai trionfi del Barcellona. Il dominio di Franco si realizza, dal punto di vista calcistico, tra gli anni ‘cinquanta e gli anni’sessanta, quando il Caudillo riesce a far sì che Di Stefano, considerato tra i più grandi calciatori di tutti i tempi, vesta la maglia del Real, prelevato dal campionato colombiano a dispetto di una trattativa già avviata dal Barcellona.

Ufficialmente, il mancato passaggio del fuoriclasse al Barça è causato da questioni burocratiche. In realtà, invece, pare che Franco avesse provveduto a far minacciare il presidente del Barcellona, intimandogli di abbandonare la trattativa, altrimenti la sua azienda tessile sarebbe stata “perseguitata” da continui controlli fiscali. Contro ogni proposta di mediazione, il presidente del Barcellona rinuncia definitivamente alla trattativa, Di Stefano passa al Real e le merengues, con lui in squadra, vincono 5 Coppe dei Campioni.

Franco non si accontenta, non gli basta avere dalla sua parte la squadra più forte e favorita del mondo. Il Caudillo, dovendo fronteggiare il nemico sovietico, d’accordo con gli americani, incoraggia la diserzione di alcuni calciatori dell’Europa dell’est, affinché portarli nel campionato spagnolo per non renderli più disponibili alla loro nazionale. Dentro e fuori del campo, Russia e Spagna se le suonano di santa ragione, soprattutto attraverso le attività di spionaggio politico e militare. I sovietici, infatti, avevano già sostenuto i moti di insurrezione dei catalani, in opposizione al regime dei franchisti.

Nel 1964, al Santiago Bernabeu, si gioca la finale tra URSS e Spagna, valevole per l’assegnazione del titolo europeo. Quale occasione migliore, per le due nazioni, di confrontarsi a viso aperto sul terreno sportivo. La partita, in realtà, è il pretesto per uno scontro ideologico tra due paesi acerrimi rivali sul piano politico e militare. A Franco non è andato giù l’appoggio dei russi ai catalani e ai sovietici non è andato giù il supporto degli spagnoli ad alcuni celebri calciatori dell’Europa dell’est fuggiti in quella dell’Ovest.

Temendo una brutta figura contro una delle squadre più forti del mondo, quattro anni prima, Franco, aveva ritirato la squadra proprio in occasione di una partita con i sovietici. Stavolta, davanti al mondo intero, ritirarsi sarebbe il peggiore degli errori strategici. La partita si gioca e la Spagna vince per 2 a 1, laureandosi campione d’Europa e avendo ragione della vecchia rivalità coi sovietici, almeno nella competizione calcistica. Il successo è molto utile a Franco, abile a farlo diventare una bandiera per la propaganda, capace di far recuperare credito e attenzione a una Spagna molto lontana dagli altri paesi europei, sia negli anni della guerra che della ricostruzione.

Non soltanto la nazionale spagnola e il Real Madrid beneficiano del sostegno del Caudillo, ma pare che anche l’Atletico Madrid, squadra dell’esercito, usufruisca di favori utili a rilanciarlo nel calcio che conta. Si racconta pure di episodi di ritorsione, da parte di Franco, a danno di alcuni esponenti del Real, rei di non aver appoggiato appieno il regime, “riequilibrando”, così, anche a favore dei madrileni, quella teoria politica che vuole la Casa blanca favorita a tutti i costi.

In realtà, l’unico a favorirsi, sul piano politico, è soltanto Franco, capace di far girare a proprio favore ogni evento buono per raccogliere attenzione e popolarità. Molti osservatori hanno definito Francisco Franco il politico più abile nello sfruttamento della propaganda di regime attraverso il pallone. La dimestichezza di Franco nel culto della personalità, lo condurranno incolume fino alla fine dei suoi giorni, riuscendo a tenere in piedi una delle più spietate manifestazioni totalitaristiche del Novecento.

Francisco Franco, scomparso il 20 novembre del 1975, oggi è sepolto nel Monastero dell’Escorial, nella “Valle dei Caduti”, a Madrid. La struttura è stata costruita dai dissidenti durante la prigionia. La Chiesa Palmariana, ramo “indipendente” e scismatico della Chiesa Cattolica, considera Francisco Franco un santo, venerandolo proprio presso il Monastero dell’Escorial. Soltanto dopo la morte del Caudillo, le bandiere del Barcellona sono tornate a sventolare.

Vittoria e sconfitta sono due parole difficili. Spesso la loro ambiguità le confonde, talvolta legandole o frapponendole. A proposito di risultati e successi, Jorge Valdano, campione del mondo con l’Argentina nel 1986 ed ex dirigente del Real Madrid, nel suo libro El miedo escenico y otras hierbas, ha scritto: “Quel fondo di fascismo che si annida dietro la filosofia del risultato, è tipico di gente che divide il mondo in dominatori e dominati, in ricchi e poveri, in bianchi e neri, in vincitori e vinti. Mi ripugna un simile messaggio e per contrastarlo mi sforzo di lottare. Anche quando alla mia squadra va tutto male e mi tocca perdere”.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

 

 

Intorno ai tre volumetti su Calcio e dittatura, nella rubrica Assist, di Spazio Napoli, citiamo alcune delle fonti bibliografiche e documentali:

Libro Calcio e fascismo, di Simon Martin, edito da Mondadori

Libro El miedo escenico y otras hierbas, di Jorge Valdano

Documentario prodotto dalla BBC, Fascism & Football, di Sean Hughes

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