Maurizio De Giovanni: “Bentornato Matador. E adesso non andare più via”

cavaniChissà a che cosa hai pensato, quando dopo nemmeno cinque minuti hai visto Zuniga cadere in area, e l’arbitro Valeri indicare senza esitazione il dischetto. Chissà che tempesta avevi nel cuore, mentre gli avversari mettevano in scena la solita pantomima delle proteste. E il portiere avversario ti guardava fisso negli occhi. Chissà quali immagini ti hanno attraversato la mente, mentre con cura sistemavi il pallone sull’erba, cercando la valvola per colpire dal lato giusto, e se avevi dubbi sul palo verso il quale tirare.

Chissà se il fantasma di Puggioni, il portiere veronese che ti ha impedito una settimana fa di tornare a scuotere la rete, o altri fantasmi hanno cercato di distrarti, per farti sbagliare ancora. E se il tuo cuore ha tremato, prima di fare il tuo lavoro di straordinario bomber: se hai avuto la tentazione di dire ai compagni no, non me la sento, tiratelo voi questo rigore, perché non reggerei alla ridda di polemiche e cattiverie che seguirebbero a un altro errore. Io non credo. Credo che tu non abbia avuto dubbi, perché i grandi non sbagliano e se sbagliano non temono le conseguenze. Ma forse un brivido ti ha attraversato la schiena, quando hai capito che il portiere aveva intuito le tue intenzioni, e si è gettato dal lato giusto. Stavolta però il tuo tiro non balbettava, non aveva il peso dell’insicurezza: stavolta il tiro era forte e chiaro, diretto a un angolo al quale il portiere non poteva arrivare, aveva la forza della certezza. E l’urlo che hai liberato nel cielo di Fuorigrotta era uguale all’urlo di tutti quelli che amano questa maglia, e quindi amano te, quando decidi di fare il tuo lavoro di bomber.

Sembrava tutto così chiaro, a quel punto. La settimana terribile, il mese e mezzo terribile sembrava definitivamente gettato nel cassonetto dei brutti ricordi, pronto a essere smaltito con l’incubo che da esso era venuto. Invece si è ripresentato, sotto forma di suicidio della difesa, insieme all’immagine di un’ulteriore caduta: anche perché quell’accidenti di pallone non voleva decidersi a entrare in porta, una, due, quattro occasioni gettate al vento da te e dagli altri. E attorno ricominciava a vibrare, nei sospiri di delusione di tutto lo stadio, la paura di un’altra mancata vittoria. È stato allora, proprio allora, che ti sei ricordato di essere Immenso. È stato allora che hai deciso di danzare sulla sfera, disorientando due difensori e il portiere con un solo movimento, per mettere in porta un’altra magia.

Poco importa se c’è stato un altro pareggio e poi il gol della definitiva vittoria. Poco importa se solo in un momento successivo l’urlo è stato davvero liberatorio. Poco importa se i minuti dal gol di Pandev (addirittura!) alla fine sono stati un calvario di paure e di espulsioni dalla panchina. Nella tua corsa verso la curva e i compagni, nel polemico gesto delle mani col quale dicevi a tutte le cornacchie di tacere e comunque di non guardare a quello che succede in casa tua, nei baci lanciati in giro e nelle mani verso l’alto c’era tutta la liberazione dell’immenso talento e della forza di condottiero che ti è stata conferita. Tu la partita, quella tua, quella importante, l’hai vinta nell’urlo delirante della tua gente, quella che ti ama per quello che fai in campo e se ne frega dei fatti tuoi. Perché è quell’amore, la ragione per cui questa è la tua città.
Bentornato, Matador. Non te ne andare più.

Fonte: Maurizio De Giovanni per Il Mattino

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