Calcio e dittatura, volume secondo – La strategia di Hitler, “accortosi” del calcio

hitler_olimpiadi_berlino_apNegli anni tra le due guerre, approfittarsi della popolarità del calcio, fu una pratica diffusa tra le dittature. Non soltanto Mussolini pensò di parlare anche attraverso il pallone e le sue potenti prese popolari. Furono, quelli, gli anni in cui lo sport che aveva ricongiunto un’ideale “pangea”, iniziò a perdere d’innocenza, e non perché vi passassero le vittime delle dominazioni, ma perché il calcio stesso divenne camera di speculazione e di direzione della verità.

Adolf Hitler, inizialmente riluttante all’idea che il calcio potesse risultargli utile, si convince che la macchina della propaganda ne avrebbe invece beneficiato. Così, durante i giochi olimpici del 1936, a Berlino, il capo del terzo reich si interessa di seguire personalmente le sorti della nazionale di calcio tedesca.

Già reduce dalle delusioni sportive procurategli da Owens, l’atleta di colore che aveva sottratto diverse medaglie alle aspirazioni naziste, Hitler decide di presenziare sugli spalti, per la partita tra Germania e Norvegia, valevole per i quarti di finale delle Olimpiadi e dove i norvegesi dovrebbero essere facile avversario per la Germania, essendo considerati una compagine di gran lunga inferiore rispetto ai tedeschi.

Risultato finale, 2 a 0 per i norvegesi, con gran sorpresa e delusione per il Cancelliere del reich. Non potendo più contare sulla presenza della sua nazionale, Hitler punta tutto sulla forza dell’Austria, in quegli anni, di fatto, considerata una “regione” della Germania.

Per far sì che l’Austria giunga in finale, Hitler escogita un piano raffinato e senza forzature. La FIFA sospende Austria – Perù, annullando il 4 a 2 per i peruviani, a causa di una pacifica invasione di campo da parte di alcuni tifosi, in seguito al quarto goal del Perù. La decisione della FIFA di far ripetere l’incontro, induce i sudamericani al ritiro immediato dai giochi. L’Austria riusce, così, a passare d’ufficio il turno, pur perdendo poi la finale contro l’Italia.

Intanto, durante i mondiali del ’38, l’Italia bissa il successo del ’34, non senza “omaggiare” la bandiera nazista, presentandosi con la maglia nera nella partita con la Francia, in provocatorio ossequio ai colori del fascismo e del nazismo. Secondo alcune testimonianze, pare che la volontà di giocare la partita in maglia nera, sia stata espressa da uno dei gerarchi del Partito fascista, Achille Starace, con lo scopo di provocare la Francia.

L’asservimento ai tedeschi non si manifesta soltanto in Italia. L’Inghilterra inizia una lunga e complicata attività diplomatica con i tedeschi, che assecondano volentieri la “avance” politiche degli inglesi, visto che grazie al Trattato di Monaco, per i nazisti sarebbe stato poi più semplice invadere la Cecoslovacchia.

Neville Chamberlain, che si è espresso in maniera positiva, sulla solidità e la lealtà della parola di Hitler, conduce le azioni diplomatiche rivolte a tenere buona la Germania, che, due mesi dopo l’annessione dell’Austria, gioca con l’Inghilterra una partita che passerà alla storia come un momento da molti definito imbarazzante per la storia dell’Inghilterra. Gli inglesi battono 6 a 3 i tedeschi, ma il risultato ottenuto dalla Germania di Hitler è un altro, ben più significativo del sonante punteggio a danno della compagine calcistica.

Al momento dell’ingresso in campo delle squadre, i calciatori inglesi si rivolgono alle tribune col saluto nazista, e il gesto, che non passa inosservato, getta l’Inghilterra nella rabbia e nella vergogna, ancor più sentita quando, sedici mesi dopo quella partita, i tedeschi diventeranno i più acerrimi nemici della Germania di Hitler una volta scoppiata la seconda guerra mondiale. Ma il cancelliere, nel frattempo, continua a ottenere i favori mediatici della propaganda.

Sul piano sportivo, la Germania di Hitler non otterrà risultati brillanti, almeno al pari di quelli ottenuti dalla nazionale di Mussolini, ma l’obiettivo del Reich supera di gran lunga quello del terreno di gioco, oltrepassandolo negli anni del regime e di quelli della guerra, scambiando spesso i panni tra vittoria e sconfitta.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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