Irruzioni e goleador tra i muri delle due “Germanie”

19406883_4ad0bf0d5aVincerne una che valga per tutte. Non hanno ancora scoperto la formula per calcolare la soddisfazione. Non esiste la misura dell’appagamento, né l’unità di riferimento della vittoria, indice ancora non del tutto compreso, specie se attraversato tante volte pure dalla sconfitta.

La Germania degli anni ‘settanta si guardava ancora dentro per quello che era successo negli anni ‘quaranta. La storia le aveva imposto la divisione, attraverso la quale il mondo interno avrebbe dovuto specchiarsi per scorgere i suoi mali per travestirli da beni. Con lo sport, nelle “due Germanie”, il diviso che era scaturito dalla costruzione del muro, aveva interrotto qualcosa per dar vita a una nuova e duratura competizione.

Ma torniamo agli anni ’70. Nel 1972, a Monaco di Baviera, nell’allora Germania ovest, si tengono le Olimpiadi. Secondo le fonti storiche ufficiali, nel luglio dello stesso anno, due importanti esponenti del Fath, cellula appartenente all’OLP, s’incontrano a Roma per discutere di un’importante iniziativa. Poco prima, un giornale arabo aveva riportato una notizia secondo la quale alla delegazione sportiva giovanile palestinese non era pervenuta risposta dal Comitato olimpico circa la richiesta di partecipare ai giochi. Reazione, qualcuno aveva detto: “Se non fanno partecipare la Palestina, proveremo a prendervi parte a modo nostro”.

Poche settimane dopo, un mattino, verso le 4.00, un commando di terroristi appartenente all’organizzazione palestinese denominata “Settembre nero”, fa irruzione nel villaggio olimpico, prima prendendo in ostaggio alcuni atleti israeliani e poi, anche a causa dell’intervento delle forze di polizia, causando la morte di 11 persone.

La quiete spensierata del villaggio olimpico di Monaco, che non aveva assicurato, ingenuamente, le dovute misure di sicurezza all’evento, viene sconvolta da un fatto senza precedenti. Le reazioni internazionali sono molteplici, con Israele che intraprende presto le azioni militari di ritorsione contro la Palestina. La Germania, stavolta per ragioni diverse, diventa ancora una volta causa di inquietanti tensioni internazionali. Dietro la crisi del Medio oriente c’è la crisi planetaria, e questo, il Patto Atlantico e Yalta lo sanno bene.

Con le ferite ancora fresche della tragedia di Monaco, la Germania ovest, due anni dopo, ospita i Campionati del Mondo di calcio, in un clima molto diverso da quello delle Olimpiadi, almeno fino al quello che si era percepito fino al giorno dell’irruzione palestinese. Gli equilibri internazionali della politica si erano confrontati due anni prima, davanti al massacro di Monaco e a tutte le inquietudini che l’episodio aveva portato con sé.

Curiosità vuole che ai mondiali tedeschi partecipi la Germania dell’est, al suo assoluto debutto nella massima competizione. La rappresentativa della DDR Oberliga, la serie A della Germania orientale, non è forte quanto la compagine occidentale, ma, destino vuole, che le due squadre s’incontrino, ad Amburgo, nella partita valida per il girone eliminatorio.

Sono in molti a sostenere che dietro la selezione nazionale della Germania est, ci sia il sostegno, ovvio, dell’Unione sovietica, addirittura con l’ipotesi che i russi, abbiano inviato agenti segreti tra la squadra sportiva e i sostenitori.

Ad ogni modo, per la prima volta nella storia dei mondiali, le “Germanie” che dividono il mondo sono una di fronte all’altra. I tedeschi occidentali sono favoriti, ma, grazie a un goal passato alla storia, dell’operaio Jurgen Sparwasser, la Germania est vince clamorosamente la partita, portando a casa una vittoria insperata e imprevista, consolandosi così, con la più grande soddisfazione possibile, di fronte al risultato finale che li vuole fuori dal girone e dai Mondiali. Ma, per i tedeschi orientali il traguardo a loro più caro era stato raggiunto.

L’effetto politico ha una risonanza mediatica notevole. Il goal di Sparwasser diventa un’icona. Beckenbauer, pur conservando un magnifico ricordo di quel mondiale (la Germania ovest lo vinse), parlandone in un’occasione, lo ha definito la “Waterloo tedesca”, tanto fu grande la delusione subita. Sparwasser, invece, ha ricordato di un aneddoto a lui molto caro. Dopo la partita, l’attaccante che aveva sbeffeggiato la grande Germania ovest, si scambiò la maglia col capitano Paul Breitner, che, nel 2002, in seguito all’alluvione in Germania, ha venduto la maglia di Sparwasser per devolvere in beneficenza il ricavato. Quel gesto ha fruttato circa 35.000 euro, destinati alla Casa della Storia di Bonn.

Dopo 14 anni da quella partita, nel 1988, Jurgen Sparwasser, scappa in Germania ovest, passando “dall’altra parte del muro”, sorprendendo e deludendo non poco le autorità orientali, ma con l’orgoglio sempre vivo, come Jurgen ha sempre sostenuto, di “aver segnato dall’est il suo goal all’ovest”.

E pensare che, nel 1972, il commando palestinese, aveva approfittato dell’aiuto ingenuo e inconsapevole di alcuni atleti americani, ignari dell’identità degli uomini di Settembre nero, per scavalcare il muro di cinta del villaggio olimpico. Quella divisione che a Berlino è costata decenni di repressioni, in quelle prime ore del mattino dell’estate del ’72, fu sottratta alla vigilanza delle sorveglianze.

Quelli, furono anni nei quali a sorvegliarlo, quel muro, non furono soltanto le autorità tedesche. E, oggi, a distanza di anni, non si è ancora ben compreso se la divisione fu l’attraversamento dei mattoni o lo sguardo vigile della storia, comprese le sue “distrazioni”.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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