I “Bubsy Babes”, Manchester United del ‘58

manchester-united-19581È successo molte volte, e non solo nella storia del calcio, che la disgrazia abbia fatto irruzione nel bel mezzo della costruzione di un’impresa. L’interruzione, improvvisa e inattesa, come un corvo nero, si poggia sulla linea continua della quotidianità, e, sia essa anonima o celebre, noiosa o entusiasmante, l’arrivo del volatile non risparmia quella linea sottile, schiacciando un punto preciso con la zampetta e coprendo col suono sordo e inasprito del suo verso, il bisbiglio doloroso che dura l’attimo della fine.

Tutto questo, se vogliamo, giunge dallo spreco della passione, che si vede la fine scaraventata addosso, giunta a rimuovere il doppio filo di quell’ammirazione, che i seguaci di una leggenda, stabiliscono già in tempi non sospetti. È accaduto ai tifosi del grande Torino, ai sostenitori dello Zambia caduto a Libreville, e alle altre compagini entrate nella storia dello sport, ma cadute anzitempo sotto i colpi della malasorte.

Negli anni ‘cinquanta, esisteva una grande squadra di calcio, il Manchester United dei Busby Babes, i “bambini” di Busby, così denominati perché allenati dal coach Matt Busby, lo “scozzese di ferro”, tipo dai metodi seri e rigorosi, in una vita trascorsa a costruire una grande squadra di calcio.

Il 6 febbraio del 1958, i “red evils” tornavano dalla partita di Coppa dei Campioni disputata nell’allora Jugoslavia, con la Stella Rossa. L’incontro era terminato col risultato di 3 a 3, consentendo agli inglesi, forti del 2 a 1 ottenuto in casa all’andata, di qualificarsi per le semifinali. Nell’edizione precedente, gli uomini di Busby si erano dovuti arrendere al Real delle meraviglie, sempre in semifinale. Ma, per l’edizione del ’58, la squadra di Manchester aveva dato chiari segni di miglioramento, candidandosi tra le favorite per la vittoria del torneo.

Il viaggio di ritorno a casa, per gli uomini di Busby si rivelò presto difficile e ostile. Prima, a causa di una dimenticanza di uno dei suoi calciatori (pare avesse smarrito il passaporto), l’aereo aveva dovuto rinviare di un ora la partenza, poi, per problemi tecnici al motore, il comandante del velivolo noleggiato dalla società inglese, James Thain, fu più volte costretto a ripetere il decollo dall’aeroporto di Monaco di Baviera, dove l’aeroplano aveva fatto scalo per rifornire. Durante uno di questi tentativi – si ipotizzò a causa del ghiaccio presente su un tratto della pista non ancora agibile per la manovra – il volo charter destinato a Manchester, andò a sbattere contro un reticolato e poi contro un piccolo edificio. Essendo pieno di carburante, l’aero prese subito fuoco, dopo aver perso una parte della struttura. Nell’incidente, persero la vita 23 dei 44 passeggeri, tra calciatori, addetti dello staff ed equipaggio.

Grandi calciatori finirono quel giorno il loro percorso che, chissà, forse li avrebbe condotti ai più grandi successi. Tra questi, il grande Jeoff Bent, che non aveva mai gradito i viaggi in aeroplano, oppure Duncan Edwards, poco più che ventenne, finito poco dopo in ospedale. Duncan, allora, era considerato la più grande promessa del calcio inglese. Si racconta che quando il cane di Mark Jones, giocatore anch’egli perito nel disastro aereo, non vide più tornare il suo padrone, nel giro di poco tempo, si lasciò morire.

Tra i sopravvissuti di quel triste giorno, ci fu Bobby Charlton, uno tra i più carismatici calciatori della storia del soccer. Uomo di grande carattere e di indiscusso talento, Bobby, nonostante quella terribile esperienza, continuò a calcare i campi di gioco, contribuendo in maniera determinante all’ascesa del grande Manchester che, di lì a poco, avrebbe incantato il mondo.

Tra le vittime dell’incidente di Monaco, si contarono anche alcuni giornalisti di quotidiani e periodici molto importanti. Così come era successo dieci anni prima al Torino di Mazzola, la stessa sorte era toccata al Manchester di mister Busby, che, per sua fortuna, fu tra i sopravvissuti. E fu lui, sir Busby, a continuare ad allenare il Manchester United reduce dalla tragedia in Germania. Chissà, forse proprio a lui, che aveva cresciuto tutti quei giovani campioni, toccò in eredità l’occasione di raccogliere un lembo pendente di quel filo, spezzato quando il volo della cattiva sorte si era poggiato sulla linea percorsa dalla sua creatura ignara di quanto un giorno le sarebbe capitato.

Non c’è consolazione per alcuni eventi, ma a riflettere su certi destini, viene in mente che, forse, esiste chi, anche senza saperlo, riesce a occupare una linea d’infinito già prima di andare via.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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