Da quelle parti, è nato l’uomo

Alcune norme maomettane proibiscono le raffigurazioni umane. Così è nato l’arabesco. Per far sì che la vitalità umana vivesse sotto l’armoniosa protezione delle foglie vive, sospese tra il cielo e la terra, addosso al mistero arabo. Nel tempo un’infinità di forme hanno affollato una foresta di decorazioni, in una rete immaginaria dentro a un luogo inesplorato. Le ragioni umane.

Una fitta densità boschiva, una regione di conifere addossate, hanno coperto i segreti e le contraddizioni di un linguaggio spirituale prestato a tutte le manifestazioni umane, da quelle del potere a quelle delle più remote e inaccessibili debolezze. Da quelle parti è nato l’uomo. La rete di arabeschi che nel tempo ha coperto il tetto sopra le mura altissime dei palazzi bianchi, ha poco a poco aperto squarci e fessure, da dove gli occhi pigri e restii della storia hanno voluto di tanto in tanto sbirciare. Ne è venuta fuori un’educazione allo sguardo ambiguo e malfidato, con l’occhiataccia e il cattivo pensiero pronti all’uso. Così, ne è nata una preghiera antireligiosa, un manifesto morale per le crociate della modernità. Hanno mescolato tutto, religioni, credenze, ossa rotte e rifiuti, dentro una disfatta lunga nessuno sa quanto.

Damasco è una delle città più antiche del mondo. Per alcuni, la più antica. Più antica delle idee, più antica delle cose, più antica di Dio. Da quelle parti, è nato l’uomo. Il tempo l’ha voluta segregata a se stessa, in preda al panico e a un’azione divoratrice senza rimedio. Da mesi, ormai, le agenzie internazionali, le organizzazioni di assistenza, i missionari, rappresentanti religiosi e politici, denunciano uno stato di abbandono sotto i riflettori. Un paradosso dentro il paradosso. Nel clima generale di crisi mediorientale, la Siria è un campo di battaglia sempre aperto, e la sua situazione politica si ricollega, molto probabilmente alla faccenda egiziana, a quella israeliana e palestinese, a quella iraniana, turca e cisgiordana, e via fino a incontrollabili estensioni sul planisfero.

Lunedì 26 novembre, una bomba a grappolo caduta in un campo di calcio di un borgo di Damasco ha compiuto una strage, uccidendo, secondo fonti siriane, dieci persone, delle quali, 9 erano bambini che stavano giocando sul campo di pallone. Il più grande pare avesse 14 anni. Alcuni nomi dei ragazzini sono stati rivelati, pur non essendoci ancora tutti gli elementi disponibili per la ricostruzione dei fatti. Le tv internazionali hanno pure diffuso un video sull’accaduto, mentre, secondo diverse fonti, pare che il bombardamento sia avvenuto per mano dell’aviazione siriana, nell’ambito della repressione contro i ribelli. L’azione militare, per la prima volta, ha ignorato il pericolo del coinvolgimento civile, causando, così, la morte di ragazzini innocenti.

Secondo altre rivelazioni, tutto sarebbe avvenuto senza una ragione militare, perché pare che intorno al villaggio colpito non vi fossero guerriglieri della milizia ribelle, ma solo civili. L’atto deliberato rientrerebbe quindi tra i numerosi episodi di rappresaglia che da tempo, in Siria, rischiano di rientrare in un fenomeno di autentico crimine contro l’umanità.

Qualcuno in Siria ipotizza che ci sia la mano russa, ma la situazione è ancora troppo complessa per poter giungere a conclusioni intelligenti e attendibili. E nulla sarebbe valso, pur riuscendoci, a spiegare l’accaduto sul campo di calcio di Damasco.

Dopo il ragazzino tifoso di Ozil, ucciso in Palestina, un’altra strage in un luogo di calcio, per quanto conti, e di certo non conta, l’aspetto simbolico di due episodi così ravvicinati. E non è che un microbo, un germe, un globulo nero di infelicità che trasporta i suoi casi di operazione, laddove niente, in fondo, è dato di capire, se non che sotto gli arabeschi antichi del cielo siriano, un’altra città rischia la completa e definitiva distruzione. E questo, possiamo ammetterlo, c’è chi lo sa molto bene, a prescindere da chi ogni tanto maneggi bombe. Diabolica imitazione di dio!

Il Corano cita spesso i Kafiruna, coloro che non giudicano secondo i dettami di Allah. E in uno dei suoi versi recita: “Lode si canti al Dio! Lui ha creato cieli e terre, e tenebra e luce egli ha fissato. Ma nonostante ciò, i kafiruna associano al loro Signore delle condivinità”.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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