Quando anche la Juventus disertò la premiazione…

Corriere della Sera, 30 agosto 1998. Finale di Supercoppa italiana, Juventus – Lazio 1-2.

Perde male la Juve e perde due volte. In partita, sovrastata dalla Lazio ben prima di restare con un Inzaghi in meno. E nel dopo partita, quando i suoi giocatori, oltre all’intera panchina, disertano la premiazione. Devono affannarsi gli inservienti per strappare da sotto la doccia sei volontari e salvare almeno le apparenze. Perdere la finale di Supercoppa italiana (è la seconda volta che ad imporsi è la vincitrice della Coppa Italia) non è di per sé un guaio, ma lo diventa se si gioca male e ci si comporta peggio (Inzaghi il piu’ censurabile di tutti per l’espulsione che ha lasciato la squadra in dieci a metà ripresa). Solo da sconfitti si capisce davvero chi siamo. La Juve non meritava di perdere all’ultimo minuto di recupero della ripresa. Meritava di perdere molto prima. E mai il pareggio sembrava legittimo. Infatti, a parte il salvataggio di Mihajlovic sulla linea con schianto finale addosso al palo, solo un’invenzione avrebbe potuto rimettere in pista i campioni d’Italia. Non provvedendo Zidane, nè Del Piero, nè alcuno, ci ha pensato – certo involontariamente – l’arbitro Bettin che, lui solo, vedeva un fallo di mani di Lopez. Il rigore, segnato da Del Piero, era una solenne ingiustizia. Il gol di Conceicao, al 94′, ha riportato equità nell’esito finale: tra l’altro, l’azione iniziata proprio da Conceicao a destra e da lui stesso chiusa a sinistra, ha visto la sapiente partecipazione di Salas, De La Pena e Mancini. Non c’era bisogno del primo gol laziale (De La Pena che lancia in profondità, Mancini all’indietro, Nedved esterno destro) per stabilire che era una buona partita e che la Lazio poteva giocarla almeno alla pari con la Juve, nonostante schierasse una difesa abborracciata, cioè senza Pancaro, Nesta e Favalli, operati, oltre a Negro squalificato. Più una buona partita intanto per il ritmo e per gli spazi. Poi, e non secondariamente, per le giocate che spesso creano superiorità in zona d’attacco, soprattutto da parte biancazzurra. Come cinque giorni fa contro il Milan, la Juve manovra meglio tenendo palla a terra e sfondando a sinistra dove Couto, fuori posizione per necessità, è a disagio quando viene puntato nell’uno contro uno. Prima del vantaggio avversario (collocato al 39′ del primo tempo), Zidane, al 36′, potrebbe regalare l’1 – 0 alla Juve se al suo dribbling, concluso con un tiro incrociato dal limite dell’area piccola, non si opponessero Marchegiani e la traversa. Ma nel conto delle occasioni la Lazio è sempre davanti e Nedved l’uomo che più avvicina la conclusione: al 31′ Peruzzi deve mettere tutto se stesso per arginarne la potenza. La differenza tra Lazio e Juve è che mentre la prima attacca con cinque uomini allargando sempre il fronte, la seconda lo restringe, ignorando la profondità che ingenerano il movimento di Inzaghi e le sovrapposizioni di fascia di Brindelli, a destra, e Davids, a sinistra. Quando, poi, l’operazione riesce, oltre alla linearità ne discende qualche pericolosa opportunità: proprio all’inizio, infatti, Del Piero potrebbe segnare di sponda se non fosse sorpreso dal liscio di un difensore su cross dell’olandese. La Lazio dovrebbe chiudere la partita all’inizio della ripresa, quando manca il raddoppio prima con Mancini, solo, anzi affiancato da Nedved, nella deserta trequarti bianconera e poi con Stankovic, subentrato all’infortunato Nedved. In entrambi i casi, Peruzzi è autore di un’uscita e di una parata da indiscusso numero 1. Ma se va lodata l’abilità del portiere, non di meno è apprezzabile l’azione che mette Stankovic nella migliore condizione per segnare di testa: Salas che allarga a Conceicao, cross da destra, mentre il serbo si smarca sul secondo palo. Lippi, che avvicenda Deschamps con Fonseca, nell’intento di dare consistenza all’attacco, vede saltare per aria ogni progetto quando Inzaghi viene espulso al 23′ per doppia ammonizione. La leggerezza del giocatore è grave soprattutto in occasione del primo cartellino giallo, inflittogli per proteste (tra l’altro, l’attaccante dovrebbe scontare la squalifica nella prima di campionato a Perugia). In dieci, la Juve smette completamente di essere una squadra per mettersi definitivamente nei piedi di chi possa trarla fuori da un grave imbarazzo. Nell’attesa subisce la Lazio, colpevole di non affondare i colpi come deve fare chi dispone di una superiorità numerica e psicologica. Infatti, prima di essere raggiunta su calcio di rigore inconcepibilmente regalato dall’arbitro Bettin (non c’e’ fallo di Marcolin su Del Piero, nè Lopez colpisce di braccio, bensì di schiena), la squadra di Eriksson rischia sulla verticale Zidane – Del Piero: Mihajlovic, però, e’ prodigioso nel recupero a porta vuota. Il finale, elettrizzante, conferma il merito“.

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