C’era una volta, tanto tempo fa, la Serie A

C’era una volta la Serie A, quella di Maradona, di Matthaeus, di Platini, di Gullit e Van Basten, poi c’era quella di Baggio, di Weah, di Ronaldo, poi di Nedved, di Zidane, di Trezeguet e Batistuta. Fior di campioni citati ed altri non, non per mancanza di importanza, ma per l’enorme quantità di campionissimi da ricordare, in un campionato che fino ad una quindicina di anni fa, a giusta ragione, era considerato il più bello del Mondo. 

Cosa è rimasto di allora, cosa è cambiato da allora? Poco, quasi nulla la prima risposta; tanto forse tutto la seconda. Del calcio di allora è rimasto il ricordo delle giocate sopraffine dei campioni che ogni anno calcavano gli italici campi; oggi invece quei pochi grandi giocatori che popolano la Serie A emigrano all’estero, fuggendo dall’Italia, un tempo “Eden” calcistico per eccellenza, attratti dai contratti plurimilionari del magnate di turno.

Per carità, lungi dal biasimare l’uomo, il professionista, prima ancora del calciatore, che opta per una scelta di vita che possa dare un beneficio economico maggiore. Come criticare la scelta di Lavezzi che al PSG percepirà più del doppio di quanto avrebbe guadagnato alla corte di De Laurentiis. Un giocatore, idolo della platea partenopea, strappato al sodalizio campano, con facilità estrema, dallo smisurato potere economico dello sceicco Al Khelaifi, autentico protagonista dell’estate calcistica e non solo per la vicenda Lavezzi.

Che dire del doppio affare Ibrahimovic-Thiago Silva? Un affare che, tra stipendi risparmiati e cartellini ceduti, ha fruttato alle casse del Milan qualcosa come 100 milioni di Euro, senza tener conto del risparmio degli onerosi stipendi elargiti a Nesta, Inzaghi, Gattuso, Seedorf e Zambrotta, calciatori che hanno salutato Milanello. Una scelta, a livello aziendale, che non fa una piega, tenuto in debito conto della precaria condizione economica del Paese che, inevitabilmente, ha toccato anche il calcio; una logica di mercato per la quale anche una personalità di spicco come Berlusconi ha dovuto cedere il passo e dare il “placet” per l’operazione che, presumibilmente, porterà anche lo svedese e il difensore brasiliano alla corte dello sceicco “Made in France”.

“Ma se tanti campioni vanno via, altri dovranno pur arrivare” qualcuno sicuramente si chiederà. La risposta è che, attualmente, in Italia sono poche le società che possono affacciarsi sul mercato dei top-player. Il Milan, giocoforza, dovrà trovare un sostituto all’altezza dell’attaccante svedese. Sarebbe inverosimile il solo pensiero di un Milan poco competitivo in Italia e soprattutto in Europa, da sempre territorio di conquista prediletto dalla dirigenza di Via Turati. Ma oltre ai rossoneri, che possono disporre di un “tesoretto” per potere operare sul mercato, l’unica squadra che può permettersi di agire con una certa forza ed investire determinate somme è la Juventus.

Gli introiti della vittoria in campionato, gli onerosi contratti di sponsorizzazione e soprattutto i guadagni ottenuti dallo Juventus Stadium hanno permesso ai bianconeri di acquistare in blocco il duo Asamoah-Isla per la “modica” cifra di 36 milioni di Euro. Ma senza nulla togliere ai pur fortissimi centrocampisti ex-friulani, alla Juventus serve un grandissimo attaccante che faccia la differenza. Si pensa a Cavani, a Suarez ed a Van Persie, ma il primo sembra essere blindato da De Laurentiis, gli altri due tentennano, preferendo la Premier League alla serie A.

Juventus e Milan a parte, le altre non possono permettersi grosse somme. Il Napoli è “intrappolato” nella sua stessa strategia aziendale, costituita da un rigoroso tetto d’ingaggio e una rigorosissima attenzione al bilancio. L’Inter è ancora alla ricerca di una propria identità dopo l’addio di Mourinho, mentre la Roma “Stars and Stripes” di Di Benedetto alla sua prima uscita ha steccato clamorosamente il progetto calcio-champagne in stile Barcelona, di Luis Enrique. 

Queste evenienze e circostanze spiegano la risposta al secondo quesito di cui sopra. Il calcio di oggi, almeno in Italia, è radicalmente cambiato. Se prima squadre come Milan, Inter e Juventus dettavano legge in Italia ed in Europa, oggi devono accontentarsi di un ruolo di comprimarietà, al limite del marginale nell’ambito della geopolitica economica del calcio. Le capitali economiche del pallone sono adesso Parigi, Manchester, Malaga e Londra, per non parlare del nuovo che avanza, come la Cina, la Russia ed il continente arabo, un Mondo in espansione continua e costante governato da persone nel cui vocabolario la parola “crisi” non è contemplata. Sono questi i nuovi orizzonti calcistici ed è doveroso tenerne conto, per non restare impreparati davanti al nuovo che avanza. Il calcio di un tempo è un ricordo e tale deve rimanere se non si vuole correre il rischio essere staccati ancora di più. 

Magari un giorno uno sceicco, o un magnate russo s’innamorerà di qualche squadra italiana e la comprerà seduta stante, dando il là ad una colonizzazione da parte del mondo mediorientale in Italia. Potrebbe darsi che questa sia l’ultimo salvagente al calcio italiano che, anno dopo anno, perde sempre più credibilità e fascino, attanagliato da problemi che vanno oltre il calcio giocato. 
Ma forse se la smettessimo di farci del male da soli, sarebbe più facile accorgersi di un’eventuale mano tesa dagli altri. 

 

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