Sarsak, simbolo odierno di un’emergenza

Come spesso succede – è uno dei vizi volgari delle “malformazioni” intellettuali – un caso di violazione dei diritti umani, o una qualsiasi azione di deliberata sopraffazione, diventa uno strumento nelle mani della censura politica. “Voi siete dei criminali!” e una parte accusa quella avversa di provvedimenti o esecuzioni delittuose, in nome di un sistema etico che è come la lampada orientabile della scrivania. Fa luce dove viene direzionata.

Il conflitto principe dell’universo mediorientale, quello tra Israele e Palestina, è uno dei simboli della strumentalizzazione politica, soprattutto dell’adozione politica, da quando, e sono decenni, una fazione, riconducibile all’internazionale ideologica, sceglie da quale parte stare, onde aderire a un modello piuttosto che a un altro. Che ingenuità, o, forse, quale malizioso marchingegno si nasconde dietro questa vecchia presa di posizioni. E già, perché non ci si accorge, o si finge di non accorgersene, che a farne le spese sono i civili di un mondo incivile. Il traffico delle armi, lo scacchiere politico internazionale, interessi di potere, riserve religiose, sfruttamento, sono tutti mescolati in una guerra “strana”, che riguarda l’Europa, gli Stati Uniti d’America, parte dell’Africa e mezza Asia. Per farla breve, solo i poli sembrano esclusi, ma solo perché popolati dagli orsi e dai pinguini.

Invece, nell’arida Striscia di Gaza, storico confine tra terre antiche quanto asserragliate in diverse e granitiche convinzioni, il delitto che si consuma colpisce l’uomo e la verità. Israele è iscritta nell’albo dei martiri perseguitati, ma non sembra onorarne così bene la memoria. La Palestina disperde la sua complessa identità tra una diaspora, in parte indotta da altri paesi, ieri e oggi, e da nuclei non ben definiti dediti a caotiche attività terroristiche. La fuga, ora per ragioni politiche, adesso per motivi familiari, o per qualsivoglia rispettabile motivazione, dei palestinesi che valicano Gaza spesso indotti dalla disperazione, dalle autorità israeliane viene regolata come fosse un sommario traffico giudiziario,.

Mahmoud Sarsak, calciatore della nazionale di calcio palestinese, ne ha fatto le spese a soli 22 anni, quando, per ragioni non ancora chiarite, è stato tratto in arresto dai militari israeliani al confine di Erez, dove, il giovane atleta stava cercando di raggiungere i suoi compagni di squadra per un’amichevole in Cisgiordania. La “Legge dei combattimenti illegali”, imposta dallo Stato di Israele, consente alle sue autorità di arrestare i civili “sospettati” di attività pericolose, o chiunque susciti sospetti, alle milizie israeliane, di legami con la Jihad islamica. Sarsak, giovane promessa del calcio mediorientale, (il più giovane debuttante di sempre nel campionato palestinese di serie A), tre anni fa fu arrestato dai militari israeliani, e, imprigionato senza un regolare processo, è rimasto vittima della carcerazione “amministrativa”, che, attraverso le disposizioni della legge sui combattimenti illegali, fa sì che il governo israeliano arresti periodicamente tutti i palestinesi che ritiene, spesso sulla scorta di superficiali informazioni, soggetti prossimi ad ambienti del terrorismo.

Sarsak è diventato un caso internazionale, perché il giovane palestinese può finalmente godere del risveglio mediatico intorno alla sua vicenda, comune a molti suoi concittadini e ad altri abitanti del medioriente. Gli organi della FIFA, personaggi della politica e del mondo del calcio, insieme a intellettuali e celebri calciatori, stanno cercando di attirare l’attenzione pubblica su quella che sembra ormai un’ingiusta e deliberata carcerazione, in violazione di tutte le norme garantite dalle carte internazionali.

Già in aprile, durante i lavori in Palestina per la Giornata del Prigioniero, Riyad al-Ashqar, esperto di diritti umani, aveva rivelato che sono migliaia, circa 3500, i palestinesi che, negli ultimi mesi, hanno fatto ricorso allo sciopero della fame per protestare contro le violazioni delle autorità israeliane. Le carceri israeliane di Nafhah, Eshel e ‘Ashqelon, sono in cima alla lista di questa triste statistica. Ora, alla luce di una lunga serie di considerazioni di diritto, molte domande sorgono inevitabili rispetto a questa vicenda. Ma quella più semplice riguarda il tempo residuale riservato a questa discutibile forma di carcerazione.

Quello che più conforta in questo momento, è sapere che, secondo le dichiarazioni dei legali di Sarsak, il giovane palestinese avrebbe raggiunto un accordo con le autorità israeliane, secondo cui riprenderà a nutrirsi e in cambio sarà rilasciato il prossimo 10 luglio. Pare, quindi, che da qui a poco dovrebbe cadere la tanto temuta ipotesi di un rinnovo – era previsto per il 22 agosto – della sua “carcerazione amministrativa”. Secondo le stesse rivelazioni, Sarsak avrebbe già ripreso a mangiare, in presenza delle autorità stesse. Ecco che, qualora questa vicenda dovesse risolversi con la liberazione di Mahmoud, un significativo precedente farebbe ingresso tra le crepe di una discutibile pratica di arresto, da troppo tempo adottata dagli israeliani. 

L’articolo 1 della Convenzione di Ginevra, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, dispone che “Le Alte Parti contraenti s’impegnano a rispettare e a far rispettare la Convenzione in ogni circostanza.” Viene da chiedersi quanto queste parti siano “Alte”, e quanto dal loro lassù si riesca a scorgere sulla terra arida e minata dove ogni cosa viene arsa in nome del potere. Giovani talenti compresi. Pure Sarsak.

 sebastiano di paolo, alias elio goka     

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