De Sanctis-Buffon, lanciato il guanto della sfida

Occhi negli occhi, a 120 metri di distanza. Duello all’ultimo colpo di reni. La rivoltella nella fondina, pronta ad esplodere su una punizione di Pirlo o su un destro ad effetto del Matador Cavani. L’attenzione dei media è rivolta al gioco spumeggiante della Juventus e ai tre (due e mezzo ormai) tenori azzurri. Ma la finale di Coppa Italia in programma domenica prossima all’Olimpico sarà anche la sfida tra due saracinesche: Gianluigi Buffon e Morgan De Sanctis. I due portieroni non proprio di primo pelo (rispettivamente classe ’78 e ’77) sono tra gli uomini di maggiore esperienza delle due finaliste, le loro prestazioni possono risultare determinanti soprattutto nell’ambito di una gara secca. Terza gara da rivali quest’anno, prima di abbracciare insieme il progetto Italia per gli Europei 2012. A meno di clamorose sorprese, entrambi dovrebbero essere estratti dai pre-convocati del ct Prandelli e partecipare alla spedizione azzurra in Polonia e Ucraina.

NUMERI UNO. L’allievo supera il maestro, o almeno così si dice. In questo caso i ruoli non sono ben definiti. Grande reattività, senso della posizione e coraggio da vendere le loro principali peculiarità. Essendo quasi coetanei instaurano una staffetta già nell’Under 21, in cui esordisce prima Buffon, già da allora considerato un predestinato. De Sanctis, più anziano di un anno, approda però per primo alla Juventus nel 1997, restandone però ai margini, oscurato da un colosso come Angelo Peruzzi. Le loro strade si incrociano nuovamente in Nazionale, Morgan torna alla ribalta alle spalle di Gigi. Emblematico il passaggio del testimone da tanti invocato ai mondiali del 2010, allorchè Buffon subì un infortunio proprio alla vigilia della rassegna iridata. Lippi scelse però Marchetti e lo stesso numero uno juventino rimase stupefatto. Una carriera in parallelo, con il Pirata costretto sempre ad inseguire il bambino prodigio. Non vede l’ora di mettere la freccia il 20 maggio ed esibirsi in un sospirato sorpasso.

RISCATTO CERCASI. Non è il miglior periodo per Buffon e De Sanctis. Il primo ha certamente contribuito alla fantastica cavalcata della Juventus campione d’Italia, uno degli arcieri della roccaforte difensiva bianconera (appena 16 gol subiti). Qualcuno insinuava che avesse perso l’esplosività di una volta, anche in seguito ad alcuni acciacchi. Alcune strepitose parate (si pensi a quelle su Almiron e Milito allo Juventus Stadium) hanno tagliato la lingua ai detrattori. Poi l’incredibile defaiance contro il Lecce, quando fu braccato da Bertolacci che gli sottrasse il pallone del definitivo 1-1. Sufficienza e eccessiva sicurezza alla base del fattaccio. Tre giorni nelle grinfie delle streghe, fuori dal tunnel con la serata di gloria vissuta a Trieste. Lo strascico psicologico non si è però dissolto. Ma resta anche la sua media voto annuale, decisamente alta (6,24). Inferiore in termini statistici l’annata dell’estremo difensore partenopeo (media 6,05). Quasi impeccabile per lunghi tratti della stagione, ha fatto registrare improvvisi black out negli ultimi due mesi. La complicità dello sciagurato pacchetto arretrato del Napoli (ben 46 le reti al passivo) è evidente, ma gli harakiri contro Lazio e Siena, così come altri segnali di squilibrio, non si pensava potessero far parte del suo repertorio. Disattenzioni sì, ma anche spie del forte stress a cui è sottoposto il Pirata, che vive troppo intensamente ogni match e non riesce più a fidarsi della sua linea a tre. Tanto che il suo celebre inno “Non succederà più” (la canzone preferita di Morgan), leit motiv dei riscaldamenti pre-partita al San Paolo, più che innestare la giusta carica ha assunto le sembianze di un atto di scuse. C’è anche da dire, a sua parziale discolpa, che in un momento decisamente poco fortunato si è reso comunque protagonista di interventi decisivi, come a Lecce o in casa contro il Palermo. Nella stessa sera entrambi vorranno svincolarsi dai cattivi pensieri e marchiare a fuoco con il proprio nome la vittoria di un trofeo.

ESEMPI. Il calo di rendimento di De Sanctis è stato anche accostato ai ritardi sul suo rinnovo del contratto, in scadenza nel 2013. Lui ha ripetuto più volte di voler rimanere, ancora nessun accordo ufficiale. In un batti e ribatti di coincidenze, anche il suo collega torinese terminerà l’anno prossimo il suo rapporto con la Juventus. La società però è stata chiara: all’indomani della Coppa Italia, l’incontro per prolungare l’intesa contrattuale ed investirlo della fascia di capitano, in seguito all’addio di Alessandro Del Piero. Perché in questo calcio malato esistono ancora uomini d’onore, capaci di toccare il cielo, crollare negli inferi e poi tornare ad accarezzare le nuvole sempre con la stessa maglia addosso. Gigi Buffon e Morgan De Sanctis sono due signori di questo sport. Non solo capacità tecniche in campo, ma anche comportamenti ed iniziative fuori dal rettangolo di gioco, schiettezza davanti ai microfoni. Professionisti capaci di amalgamare lo spogliatoio e addossarsi sulle proprie spalle la responsabilità di indirizzare i giovani.

11 METRI, 1 SOGNO. L’esperienza trascinata in campo e tramutata in saggezza. Quando il gioco si fa duro, le femminucce scappano a gambe levate. Loro invece sono lì, a fissare la palla sul dischetto, a scrutare nello sguardo dell’attaccante quale angolo battezzerà. In una sfida sentita ed equilibrata, lo spauracchio dei calci di rigore è da mettere in conto. Che saltino parecchie coronarie in giro per il mondo anche. Conti e Mazzarri si aggrappano all’intuito dei due numeri 1. Buffon non è mai stato un artista della lotteria, anche se soprattutto in passato qualche sfizio se l’è tolto. Quest’anno ha parato un solo rigore, a Totti nella gara dell’Olimpico di Roma. Però è uno che di traguardi ottenuti dal dischetto se ne intende e una vecchia volpe ha sempre un’ultima cartuccia da spolverare. Il Pirata Morgan diede spettacolo il primo anno in maglia azzurra, respingendo ben tre tiri dagli undici metri e guadagnandosi la fama di para-rigori. Un titolo chiuso in ripostiglio, anche se ad ottobre scorso un certo Mario Gomez ha assaggiato la sua dote mai definitivamente sopita. Nei grandi condomini è sempre il portiere a dettare le regole. Altrettanto in una finale: la Coppa si solleva con i guantoni.

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